“In questi Paesi un genocidio non è troppo importante”, è la frase con cui Francois Mitterand, l’allora Presidente francese, commentò le notizie del genocidio in Rwanda, e riportata da Philip Gourevitch in un suo libro sulla vicenda.
Una frase che da sola spiega l’atteggiamento della comunità mondiale dinanzi a quella tragedia mostruosa di vent’anni fa. Tanti ne sono passati, ma il mondo ha fatto in fretta a dimenticare gli almeno 800mila tutsi e hutu moderati trucidati a colpi di machete, armi da fuoco o semplicemente linciati in una mattanza spaventosa durata cento giorni, in un Paese poco più grande della Lombardia, e che ha eliminato circa un quinto della popolazione.
Rwanda vent’anni fa.
Ottocentomila vittime in 100 giorni stando alle stime più contenute, un milione settantunmila secondo altre fonti. Vent’anni fa iniziava il genocidio ruandese.
L’aereo presidenziale con a bordo Juvénal Habyarimana – al potere, con un colpo di Stato, dal 1973 – viene abbattuto da un missile terra-aria, mentre il presidente è di ritorno da un colloquio di pace insieme al presidente del Burundi Cyprien Ntaryamira. Lo stesso giorno i leader politici e il movimento radicale Hutu Pawer accusano dell’attentato i ribelli tutsi del Fronte Patriottico Ruandese-Fpr, guidati da Paul Kagame. Alcune ipotesi indicano le frange estremiste del partito presidenziale come i responsabili dell’attentato. Sembra non accettassero l’accordo di Arusha, del 1993, che prevedeva un ridimensionamento dei poteri di Habyarimana e l’ingresso del Rwandan Patriotic Front-RPF nel governo di transizione.
Il nazismo tropicale aveva trovato terreno fertile, in una terra che prima del colonialismo non aveva posto attenzione alle differenze somatiche, ma con l’introduzione della carta di identità delle autorità belghe, lo status sociale che era alla base della differenza tra hutu e tutsi (il possedere o meno capi dio bestiame) divenne una questione etnica. Le rivolte per l’indipendenza contro i coloni belgi e la monarchia Tutsi, aprì le porte al primo sterminio di oltre 100.000 Tutsi e alla loro emigrazione in Uganda e Burundi. Nel 1966 in Burundi, una serie di colpi di stato alimentati dalle due etnie, si conclusero con la presa del potere da parte dell’aristocrazia Tutsi. Nel ‘72, un tentativo di colpo di stato Hutu portò alla reazione violenta del governo, con lo sterminio di 200.000 Hutu. Nel 1973 in Ruanda, ci fu il colpo di stato del generale Hutu Juvénal Habyarimana e iniziò il regime autoritario. I media locali, come il Kangura – riconosciuto colpevole dal Tribunale internazionale per il Rwanda, di incitamento all’odio razziale – pubblicarono articoli come i Dieci Comandamenti, in cui si asseriva: Ogni MuHutu deve sapere che ogni MuTutsi non cerca che la superiorità della sua razza.
Tra l’indifferenza internazionale iniziò il secondo più grande genocidio della storia. Eppure forse era prevedibile. L’11 gennaio del 1994, quattro mesi prima dell’abbattimento dell’attentato presidenziale Romeo Dallaire, comandante delle forze Onu in Rwanda – UNAMIR, invia un fax in cui afferma di aver saputo da una “fonte di alto livello” che le milizie hutu Interhamwe stanno pianificando “lo sterminio dei tutsi”. La Comunità Internazionale resta attendista.
Il segnale dell’inizio delle ostilità fu dato dall’unica radio non sabotata, l’estremista RTLM che invitava, per mezzo dello speaker Kantano, a seviziare e ad uccidere gli “scarafaggi” tutsi.
Per 100 giorni si susseguirono massacri e barbarie di ogni tipo. Vennero massacrate più di un milione di persone in maniera pianificata e capillare. Uno dei massacri più efferati fu compiuto a Gikongoro, l’allora sede dell’istituto tecnico di Murambi: oltre 27.000 persone vennero massacrate senza pietà. Per dare un’idea sommaria di quello che avvenne, basti pensare che in un giorno vennero uccise circa ottomila persone, con una media di 333 l’ora, 5 vite falciate al minuto. Pochi giorni c’era stato il massacro della Nyarubuye Catholic Church, con migliaia di vittime. Sembra ancora di udire di sottofondo non solo le grida dei carnefici e delle vittime, ma anche la famosa radio incitante ad uccidere i vicini. Forniva indicazioni ogni giorno, anche quello del massacro di Kibuye quando 12 mila tutsi vennero uccisi nello stadio di Gatwarp, dove avevano cercato rifugio. Quello stesso 18 aprile sulle colline di Bisesero si contavano più 50 mila.
Il grosso del massacro non avvenne per mezzo di bombe o mitragliatrici, ma con il più rudimentale strumento di lavoro e morte, il machete. Questo non perché non ci fossero abbastanza fucili d’assalto AK-47, bombe di mortaio, lanciarazzi, granate e munizioni – inchieste della BCC, del The Guardian e del Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda-ICTR, dimostrano un traffico di armi considerevole – ma perché si trattava di uno strumento già in possesso di tutti, bastava solo darne una destinazione d’uso diverso.
Il genocidio ruandese ebbe termine nel luglio 1994 con la vittoria del RPF nel suo scontro con le forze governative. Giunto a controllare l’intero paese l’RPF attuò un contro-genocidio che aggravò ulteriormente la situazione umanitaria, comportando la fuga di circa un milione di profughi Hutu verso i paesi confinanti Burundi, Zaire, Tanzania e Uganda.
tratto da : http://www.ilfarosulmondo.it/rwanda-in-questi-paesi-un-genocidio-non-e-troppo-importante/
Si è saputo del genocidio dalle televisioni solo quando è esploso nella sua forma più drammatica e violenta. Ricordo le lunghe file di persone cariche di bagagli che si avviavano per strade polverose verso paesi vicini Tanzania e Uganda. Credo che per la maggior parte delle persone sia passato quasi inosservato. Infondo era una guerra tra etnie della stessa razza negroide. I problemi africani non ci riguardavano da vicino, quindi da considerare inesistenti. Come del resto tutti i popoli del centro Africa non sono affatto considerati. Certo lo erano quando erano colonie, si allora, si interessavano. Certo a quell’epoca non c’erano competizioni tra le etnie..non c’era nessuna convenienza che avvenissero, sarebbero state solo noie! Non so adesso come sia la situazione, vediamo solo qualche volta qualcuno che arriva da questi luoghi dimenticati da Dio, in cerca di qualcosa……credo che non sappia neppure cosa..l’importante è forse la curiosità di vedere come funziona il mondo dei civili bianchi! Resterà deluso, il nostro è certamente un mondo molto più incivile anche se alfabetizzato!