PIERINO E IO.
Lui, Pierino Prati, era in campo in quella domenica del 1 dicembre 1974.
Quella nella quale varco la prima volta i cancelli di uno stadio.
2 biglietti comprati, una fidanzata, l’ennesima, fanculata in tempo, uno zio laziale che chiama il fratello tifoso napoletano ad Ischia “Vieni su, che ho i biglietti per il derby, e porta pure Tony che si diverte”.
Il viaggio in una 850 celeste verso Roma, dove mio zio lavora al Michelangelo, dietro San Pietro, e dove ha lavorato mio padre prima di entrare, nel 1970, nelle Poste e Telecomunicazioni.
È così che nasce il mio amore giallorosso, in quel primo e unico derby visto.
Mio padre che mi indica i numeri di maglie (allora che vista avevo!) e mi indica “Guarda quello è Picchio De Sisti, l’altro è Ciccio Cordova, e quell’altro ancora è Prati , detto la Peste, c’è pure Rocca, vedrai quanto è veloce!”
Di contraltare, mio zio laziale cerca di impiantare in me semi biancocelesti (“quello grande e forte è Long John Chinaglia, vedrai come sfonda la Roma oggi) che però si volatizzano nel tragitto interposto tra le parole di mio zio e le mie orecchie.
Perché io la scelta già l’ho fatta entrando nello stadio, con sommo dispiacere non solo di mio zio, ma anche di mio padre, che mi avrebbe voluto napoletano.
“Papà, perché lo chiamano la “Peste”?“, mi incuriosisce sapere perché ci sia un altro al mondo con lo stesso epiteto che mi ripete mia madre ad ogni marachella.
“Perché segna sempre, ma ora zitto che comincia la partita”.
A me bastava rifiutare di mangiare, per essere chiamato così.
E io là ad attendere che quel numero 9 mantenga la promessa. In verità non gioca una grande partita, ricordo che ciabatta una conclusione e che tira una bomba su punizione, e il mio primo derby (che fortuna vincerlo, mille volte mi sono chiesto se quella scelta di tifo avrebbe resistito nel corso del tempo con un risultato diverso) viene risolto da Picchio .
L’indomani si torna a casa, io felice di aver visto una partita di calcio dal vivo e di marinare la scuola, di fatto, quel giorno.
Sapendo, io e mio padre, di ritrovare a casa una madre e una moglie imbronciata del viaggio, della partita e della scuola saltata, alla quale col piffero avresti fatto capire le emozioni vissute.
Ma tant’è, pazienza e il tempo dimostrerà che quella donna poco ha capito della vita in generale.
E così per me il calcio, e la Roma, diventano una passione, non più coi colori dello stadio (ci vorrà il 1982 per rivedere una partita allo stadio, regalo di promozione alle medie), ma il bianco e nero della tv (ci vorrà sempre il 1982 e il pensionamento di mia zia Giuseppina dall’allora Sip, per avere la tv a colori a casa e godermi un Mundial fantastico con le mille cromature di magliette e emozioni)
Però c’è l’enciclopedia del calcio che è a colori, che a quei tempi rispondeva al nome di Album dei Calciatori Panini, e che mia zia Giuseppina (proprio così, una donna!), celibe e sorella di mio padre, ha collezionato sin dalla prima uscita.
E così quelle domeniche del pranzo con i nonni e con la zia, con il rito della radiolina tra il digestivo e il caffè, diventano il giorno più piacevole per una diversa forma di studio.
Li studio infatti la storia delle squadre (cavolo, che squadra poco attraente che mi sono scelto, anche se è bella quella coccarda della Coppa Italia sulla maglia di Giacomino Losi del 1964-65, in un album che sa ancora di figurine attaccate con farina e acqua impastata, la colla Coccoina era ancora a divenire) e quelle dei calciatori.
Lì scopro che Pierino Prati mi precede di un anno sull’album della Panini .
E poi c’è nonno che mi spiega perché lo chiamano la “Peste”, perché De Sisti diventa Picchio, Losi è il “Core de Roma”, e che “Rombo di tuono” Riva ha fatto felice un isola.
La lettura del quotidiano sportivo, conservato per me da mio nonno e mia zia (che torna a casa, da Napoli, ogni sabato per ripartire la domenica sera) in tutti i numeri usciti settimanalmente, diventa per me un rito dentro al rito domenicale familiare .
Quando le finanze lo permettono mio nonno acquista delle pellicole per il proiettore con le gesta di quelli che per me diventano eroi al pari dei Muzio Scevola scolastici.
Avidamente leggo, studio, imparo, approfondisco una passione incredibile.
A 10 anni so perfettamente chi sono Puskas, Di Stefano, Pelé anche senza averli mai visti.
A 13 anni conosco tutto dei grandi esploratori, dei grandi viaggi, perché la vita non è solo calcio.
Una passione nata quella domenica 1 dicembre 1974, quando c’era anche lui Pierino Prati detto la Peste in campo.
Nata anche grazie a lui e a quella domanda curiosa a mio padre.
Oggi, 23 giugno 2020, nell’epoca della pandemia quella vera, mi manca ancora di più, perché è un altro pezzetto di infanzia andato via.