Sottotitolo: tra tango e tulipani, pizze e gelati, la memocronaca di una domenica all’inseguimento del gol.
Domenica 25 giugno 1978,
quella domenica, come al solito, i nostri genitori, miei e dei miei cugini, decidono di uscire.
Moglie e prole accodati, naturalmente.
Per la verità, mio padre, Vittorio e mio zio, Pasquale, non sono molto felici.
E nemmeno io, appena dieci anni, e i miei cuginetti maschi.
E’ la domenica della finale dei Mondiali di Argentina del 1978.
Si scontrano l’Olanda e l’Argentina.
Due protagonisti mancanti: uno Cruijff, mancante per sua volontà proprio dalla intera rassegna.
Un mito per noi ragazzini, comunque.
L’altro, Diego Armando Maradona, giovanissimo astro nascente dell’Argentinos Jr e che già faceva parlare di sè, tanto che spesso, nelle partitelle fra noi, si incominciava a sentire la cantilena “ E ch song, Maradona?” ( “E che sono, Maradona?”), dietro a una “magia” con il pallone, Super Santos of course, Super Tele per i piu sfigati (resisteva a mala pena un giorno), Tango per quelli senza problemi.
Piccola premessa, il nostro campo di calcio preferito era lo spiazzo interno del macello comunale (oggi una scuola elementare), al quale avevamo libero accesso essendo mio zio il custode dello stesso.
Tale spiazzo, che dava poi accesso a uffici, mattatoio, depositi e stalle, era largo 20 metri, lungo più o meno 60 metri, delimitato da due cancelli, quello d’ingresso e quello delle stalle che sembravano essere messi lì appositamente per diventare “porte” da calcio.
Con le mure alte di cinta che lo racchiudevano a fare da spalti, separandolo dalla strada comune che era sovrastante (il piano del macello era un 6 metri sottostante al livello stradale).
Insomma, quasi un campo regolamentare senza volerlo, bastante comunque per noi piccoli Zico, Beccalossi, Pablito o altro, il cui unico difetto era avere il fondo in cemento e brecciolino e qualche posa di asfalto.
Ciò significava che, se d’inverno le scarpe erano consigliate quanto meno per il freddo, d’estate il caldo ci “consigliava” di giocare a piedi scalzi.
Ecco perché oggi ho le piante dei piedi talmente indurite che potrei camminare su un letto di chiodi stile fachiro!
E fa niente che ogni tanto il pallone lo dovevi andare a recuperare nella stalla, tra buoi e relative “margherite”!
Torniamo, però, a quella domenica di fine giugno e a quella finale mondiale, la prima che ricordo.
La partita, nonostante la mancanza dei due assi sopra citati, è affascinante lo stesso e i nostri padri e noi vorremmo essere davanti alla televisione.
La diretta in TV è dalle 20, le 15 in Argentina, e per noi, che avevamo seguito le prodezze di Pablito e di quella nazionale azzurra, tra le più belle di sempre, anche a mezzanotte, sembrava l’occasione giusta per una domenica sul divano, birra e sigarette per i nostri grandi, patatine e aranciata per noi più giovincelli.
E magari l’indomani ripeterne le gesta nel nostro “stadio”!
Le nostre madri e mogli, però, hanno reclamato il diritto al gelato e alla passeggiata domenicale.
E guai a contraddire le donne!
Musi lunghi maschili, fino al sovvenire della giusta ispirazione.
Ci sono alcuni locali che hanno montato la televisione per l’evento!
Basta trovarli, lungo il percorso e approfittarne senza darlo a vedere alle donne!
Mica facile, però ci si prova!
Partiamo da casa e veniamo raggiunti per via dalla notizia che Kempes, quello spilungone, ha portato in vantaggio l’Argentina.
Bestemmie dei nostri genitori, mica però perché tifavano!
Semplicemente perché eravamo intenti a parcheggiare la Printz di mio zio invece di stare davanti al televisore!
Il gol di Nanninga (chi era mai costui per noi? Anni dopo scopriremo che è un fioraio prestato, ottimamente, al calcio), all’ 82° minuto, ci raggiunge al Bar Italia, dove i nostri genitori si recano a comprare le sigarette e il gelato alle donne e a noi!
Noi piccini contentissimi perché facevamo il tifo per l’Olanda di quei calciatori belli, biondi e dagli occhi azzurri.
E dai piedi fatati come sudamericani.
Che sapevano far tutto, il terzino giocava da mediano, l’ala ripiegava da terzino, il centravanti faceva il fine suggeritore e il portiere giocava con un incredibile numero 8 alle spalle!
Li amavamo, gli olandesi, anche se ci avevano battuto, con una sassata di Brandts da fuori area (molti accuseranno Dino Zoff di aver problemi di vista, salvo poi ricredersi sul portierone azzurro, 4 anni dopo), in quella partita che fu quasi una sorta di semifinale pur se presente in un girone.
Forse era anche una scelta cromatica, come era bello quell’arancione delle loro maglie!
E, dopotutto per noi piccoli l’Argentina era cattiva, fosse solo che c’era un dittatore in più e un Maradona in meno.
Qualche centinaio di metri e di vetrine che sembrano essere le tappe di una Via Crucis, fermate obbligatorie per le nostre madri e mogli, e si arriva alla Pizzeria Romana, specializzata in pizza a taglio.
Gremita.
Come ogni domenica, ma questa sera di piu.
C’è la partita in televisione.
E qui sovviene la brillante idea: perché non acquistare della pizza da portare e mangiare a casa?
Detto, fatto e convinto le donne!
Tra l’ordine delle pizze e la loro infornata ci becchiamo il secondo gol di Kempes ai supplementari.
La speranza, che è sempre l’ultima a morire, però sopravvive, sulle ali delle fragranze che escono da quel forno!
Se, però, le fragranze le puoi sentire con l’olfatto pur restando eteree, così diventa impalpabile la speranza quando, con i cartoni in mano delle pizze, Bertoni segna il terzo gol e la fine, inevitabile, della partita.
Torniamo a casa con l’amaro in bocca.
I maschietti grandi per non aver potuto vedere per intero la partita e per aver speso un capitale in sotterfugi vari.
Noi piccini perché l’Olanda ha perso.
Le donne perché devono apparecchiare ed è oramai tardi, hanno i piedi stanchi e l’indomani si ricomincia la settimana casalinga, con o senza Mondiale.
Ci resta il gusto della pizza per rinfrancarci tutti.
Ancora oggi lo sento, vivo come i ricordi di quella domenica.
E che ho voluto condividere con voi, perchè il calcio vive sopratttutto di emozioni