Che gran bastarda. Fino all’ultimo mi sfida. Mi fissa, sorniona benché morta, mia moglie. L’ho uccisa io. Lo so, sono un assassino! Vivaddio, sono stato vittima prima, giudice e boia dopo di una maledetta infame. I suoi continui tradimenti, l’avidità, il suo livore, subìti una vita intera, non valgono una giusta attenuante? L’ennesima lite e le ho sparato. Semplice come mai avrei immaginato. Una palla in petto e ora sta lì, l’arpia, seduta in terra, schiena alla parete, gambe larghe come le ha sempre tenute per chiunque le piacesse. Mi fissa, sorriso crudele sul viso. Spararle mi è piaciuto, eccome! Mentirei se dicessi che non ho provato, per un attimo, un immenso piacere, la liberazione da un incubo, come lo sfogo di un vulcano troppo a lungo represso. C’è viavai nella stanza, polizia, infermieri, qualche curiosone della palazzina che si affaccia per avere qualcosa da raccontare domani. Li sento confabulare: “Brutta storia, tenente” e l’altro di rimando “Già, qui è successo un bel casino”. Il vociare, il tran tran in casa mia, non mi da fastidio questo, no. Sono quegli occhi, lo sguardo di quella disgraziata, che mi fanno male. Continua a guardarmi ed io, di rimando, non riesco a togliere gli occhi da lei. Avanti, cosa aspettate?Chiudetele gli occhi! Nei film si vede sempre una persona pietosa che chiude gli occhi del morto. Perché qui no? Ecco, forse mi hanno sentito! Si avvicinano. A me, non a lei! A me che sono a terra, riverso nella pozza del mio sangue che è fuoriuscito dalla coltellata allo stomaco. Poi le ho sparato, ma la mia morte è stata molto più lenta e dolorosa. Perciò mi sfida, la puttana! Dita guantate mi abbassano le palpebre! Non proprio quello che volevo, ma almeno non la vedo più prendermi in giro con quello sguardo. Bastarda!
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