il 13 novembre 1985 ad Armero, in Colombia, erutta il vulcano del Nevado del Ruiz .
L’eruzione creò una serie di violenti lahar che distrussero circa 14 città e villaggi ed uccisero circa 25.000 persone.
Omayra come Alfredino
Tra le vittime del disastro c’è anche Omayra Sanchez, questo il nome di una tredicenne che resta intrappolata nel fango.
Una storia con qualche similitudine a quella accaduta, nel 1981, in Italia, al piccolo Alfredino Rampi
La notte dell’eruzione la ragazzina tenta di mettersi in salvo con i suoi famigliari. Ma il destino è alle porte!
Mentre fuggono, la nonna di Omayra cade in un acquedotto.
Sprezzante del pericolo, Omayra, senza pensarci sopra, si cala nello stesso acquedotto per cercare di liberare la nonna. Malgrado l’impegno, la ragazza non riesce a salvare la vita alla nonna perché il fango le travolge trascinandole via.
Ad un certo momento Omayra si trova con le gambe incastrate in una massa di detriti e putrelle in cemento. La sua condizione è drammatica: ha tutto il corpo sommerso e solo la testa fuori dall’acqua.
Una lotta contro il tempo
Quando arrivano i soccorsi, non riescono ad intervenire per salvarla perché il suo corpicino è troppo bloccato tra i detriti. L’unica soluzione possibile è allo stesso tempo drammatica: per salvarla bisogna amputarle le gambe!
I chirurghi non riescono a raggiungere il luogo e non ci sono medici, pertanto è impossibile pensare di operarla.
Omaya sa che se dovesse sopravvivere senza gambe, sarebbe un peso per la sua famiglia molto povera, pertanto è meglio che la lascino al suo destino.
Ciononostante i volontari, pur senza gli strumenti adeguati per estrarla, non si danno per vinti e cercano in ogni modo una soluzione.
Secondo una giornalista presente, Cristina Echandia, Omayra canta, prega e parla normalmente di se stessa, dei suoi amici, della scuola, della nonna. Ha anche parole di conforto verso chi si inquieta per la sua sorte ineluttabile, che sa essere segnata.
Le ultime ore di Omayra
La terza notte, inizia anche ad avere delle allucinazioni, dicendo di non volere arrivare in ritardo per la scuola. Ad un certo chiede di lasciarla sola perché vuole riposare.
Alla fine, un paio di ore prima che la piccola muoia, i volontari riescono a portare una pompa per estrarre l’acqua ma è rotta, e solo quattro ore dopo, giungono 18 pompe funzionanti.
Dopo 60 ore di esposizione, il cuore della piccola cede alla cancrena e all’ipotermia.
Tutto il mondo è stupito dal suo coraggio e dalla dignità con la quale affronta la morte.
Oggi la tomba di Omayra è un luogo di pellegrinaggio e non manca chi le attribuisce persino dei miracoli.
Quella di Omayra è una straordinaria storia d’amore e di morte, di dignità e coraggio.
Di speranza per l’umanità.