Parte prima: tsunami!
Cammino a piedi lungo una spiaggia dalla sabbia bianchissima, tanto bianca che il sole, riflettendosi sugli infinitesimali cristalli di silicio che la compongono, mi acceca , costringendomi a socchiudere gli occhi.
La spiaggia è delimitata, sul lato interno, da una serie di piante da cocco e palme , piccoli cespugli di agave, e dietro questa sorta di recinzione vegetale, intravedo una strada asfaltata e un centro abitato. La piccola cittadina è sovrastata da un palazzo alto una cinquantina di metri, dalla forma quadrata e con una cupola a semicerchio come tetto.
Dal lato mare si ode il rumore delle onde che vanno ad infrangersi contro la barriera corallina, alzando fantastici spruzzi di acqua in cielo, a loro volta colpiti dai raggi solari che si divertono a dare le più diverse sfumature di colore a queste particelle d’acqua,dando talvolta l’impressione di aver di fronte un arcobaleno spezzato.
Non riesco a riconoscere il posto per quanto mi sforzi di dare un nome, una collocazione ad esso. Non riconosco la spiaggia, le palme, il mare, la strada, la città . Mi sento spaesato, perduto, ma continuo a camminare lungo questa spiaggia bellissima, interminabile, nel silenzio assoluto, mio e del mondo che mi circonda.
Non riesco a capire dove sono, perché, ma capisco chi è che mi stringe ora la mano. Le sue dita ,lunghe e affusolate, le sue piccole asperità callose: quelle mani le saprei riconoscere anche bendato,anche al buio, sono quelle di Adila. Mia moglie!
Mi volto verso di lei, le sorrido e lei risponde al mio sorriso, guardandomi con quei magnifici occhi color verde acqua. Vorrei chiederle qualcosa, ma non riesco a pronunciare parola,e anche Adila sembra non voler parlare.
Ma va bene anche così, siamo vicini, mano nella mano, e continuiamo a camminare, ora lungo il bagnasciuga della spiaggia. Mi può bastare.
Piccole onde, residui delle correnti marine che riescono ad attraversare la barriera corallina,arrivano sino ai nostri piedi scalzi, lambendoli dolcemente. Trascinano, nel loro venire e ritornare da e verso il mare, piccoli ciottoli e gusci di conchiglie. Continuiamo a camminare, sempre in silenzio, sempre mano nella mano.
Siamo in pace. Con noi stessi. Con il mondo intorno.
Ma la natura non è in pace con noi! D’un tratto odo come un rombo che proviene da lontano, un rumore sordo e cupo, quasi simile al mormorio di un tuono estivo,solo amplificato più volte. Ora ho i sensi allertati, qualcosa mi dice che il fragile equilibrio della quiete è stato spezzato, da qualcosa o da qualcuno che però ancora non riesco a determinare.
Mi guardo attorno,cerco di capire, di trarre un segno rivelatore da ciò che mi circonda. Mi volto di nuovo verso il mare e solo allora un terribile pensiero incomincia ad affiorarmi nel cervello. Il fondale della laguna, formata dalla barriera corallina, si è come prosciugato, o per meglio dire sembra come se le acque si fossero ritirate, lasciando una pozza d’acqua, dove prima era mare , per decine e decine di metri. Vi sguazzano pesci già boccheggianti, in una letale agonia come strangolati da mani invisibili.
Capisco subito cosa sta succedendo, ora ho la giusta cognizione di ciò che si sta abbattendo su di noi: è in arrivo un onda anomala, quella che i giapponesi chiamano “tsunami”!
Non ne ho mai visto una, ma ho letto e ascoltato molto su di loro e sui segni che le precedono. Intuisco che su quella spiaggia siamo in grande pericolo e che dobbiamo trovare al più presto un rifugio.
Incomincio a correre verso il ciglio della strada ,oltre le palme da cocco e le mangrovie, trascinandomi Adila come un fantoccio. Lei mi guarda per un attimo sorpresa. Poi, come se avesse avuto improvvisamente la mia stessa idea, incomincia a non essere più solo un burattino lanciato in una folle corsa, ma sincronizza i suoi movimenti con i miei, con un unico scopo: allontanarsi da quella spiaggia maledetta!
Mi volto un attimo indietro e vedo il mare rigonfiarsi oltre il bordo esterno della barriera corallina. Sale sempre più su, con un indomita ferocia, aumentando improvvisamente la velocità.
Continuiamo a correre sino a raggiungere il retro della spiaggia in direzione della strada maestra. Sembriamo possedere anche noi una velocità prodigiosa! Cerchiamo rifugio tra i primi abitati.
Mentre fuggiamo l’onda rotola oltre la barriera corallina e invade la spiaggia, raggiungendo le palme da cocco e abbattendole come fuscelli.
L’acqua invade le strade, travolge persone, animali, macchine e, man mano,rinforzata da altre ondate, posso osservare, nel defluire delle acque, persone che si sbracciano, inermi, mentre vengono risucchiate dall’oceano come ghermite da un mostro composto di liquida materia.
Penso che il peggio sia passato, che siamo salvi, ma Adila , sempre senza parlare,mi fa voltare di nuovo verso il mare. Il peggio deve ancora venire! Quello che vedo è uno spettacolo allo stesso tempo orrendo e affascinante.
Una tondeggiante muraglia d’acqua, alta una trentina di metri, avanza inesorabilmente!
Tutt’intorno a noi,urla di orrore e disperazione, un fuggi fuggi generale,per cercare un rifugio, qualcosa che salvi da quel mostro d’acqua. Il suo approssimarsi è annunciato con un boato simile al ruggito di un leone che, affamato,cerca le sue prede.
Intravedo l’entrata di quella palazzina alta che avevo visto dalla spiaggia. Dobbiamo andare là e salire sul tetto. Corriamo, corriamo, con quanta forza abbiamo nelle gambe e quanto fiato possediamo nei polmoni.
La muraglia d’acqua si abbatte dietro di noi, invadendo la prima linea di abitato. Un mostro inarrestabile. Eppure, per qualche motivo che mi sfugge, sembra andare a rilento, quasi a voler giocare con me e Adila come il gatto con il topo.
Intorno a noi sento il rumore di legno spezzato, di mura che crollano, di lamiere che si contorcono. Mentre scappiamo, mi volto, vedo un cottage divelto dalle sue fondamenta e trascinato dalle vorticose acque che si stanno riversando nella città. Poi il soffitto del cottage crolla e la casa incomincia a disintegrarsi.
Palme di cocco divelte, assi di legno, persone, auto, tutti mischiati in un unico orrendo calderone, fatto di acqua, fango, legno, cemento,sangue, ossa.
Entriamo nel palazzo Altre persone hanno avuto la nostra stessa idea, e arrancano sulle scale che salgono girando intorno alle quattro mura perimetrali. Che strano palazzo, penso.
All’interno non ha appartamenti ma solo rampe di scale che lo percorrono tutt’intorno.
Ma non è questo il momento di pensare all’architettura,dobbiamo raggiungere il tetto.
Intanto l’acqua dello tsunami penetra anche all’interno del palazzo; e sale, sale sempre più di livello. Le scale inferiori sono già coperte e l’acqua cresce con una violenza incredibile, rabbiosa, quasi che avesse una forza intellettiva tutta sua che la inciti a scovarci, ghermirci, affogarci.
Vedo persone sotto di noi che scompaiono fra quei ribollenti flutti. Urla di disperazione ; braccia, gambe, teste che scompaiono nell’acqua per poi fugacemente riaffiorare, lottare, per poi scomparire definitivamente.
Salire, non fermarsi, andare più sopra, sempre più: questo l’ordine silenzioso di mente a gambe, mentre la disperazione cerca di invadere il resto del corpo.
Adila richiama la mia attenzione facendomi pressione sul braccio. Mi volto e lei mi indica il basso:all’orrore si aggiunge altro orrore.
Lungo la tromba delle scale, insieme al livello dell’acqua , uniti da una ancestrale alleanza naturale, quasi come il cavaliere e il suo cavallo, ecco sopraggiungere uno squalo bianco,forse il più grande che si sia mai visto. E’ irreale,lo so, ma è lì ! Ha le fauci spalancate, i denti aguzzi, le larghe mascelle aperte che mostrano tracce di brandelli umani,vestiti, sangue.Che Allah ci salvi!
Mentre sale,trasportato in su dall’accrescere delle acque, in quella sorta d’imbuto che è il palazzo, , afferra tutte le persone che trova sul suo cammino. Mordi, stringi, mordi: un inarrestabile macchina di morte!
Mi accorgo ,con grande orrore, che, per quanto arranchiamo su quelle scale, la rapidità con cui salgono le acque e con essa il nostro nuovo nemico è troppo superiore alle nostre forze.
Sento l’acqua alle caviglia.
Il muso dello squalo è a pochi metri da noi, siamo finiti, non raggiungeremo mai il tetto.
Penso a Adila e sento che devo fare un ultimo ulteriore tentativo, ma ho le gambe pesanti, qualcosa non risponde più adeguatamente agli impulsi del mio cervello. Forse si è arresa, la mia mente,prima di me, impotente di fronte a cotanta devastazione!
La spalla, sento afferrarmi alla spalla! Lo squalo deve avermi raggiunto; se solo potessi impedire che Adila diventasse a sua volta cibo per quel mostro bianco!
Parte seconda: il viaggio
“Avanti Bashir, alzati. Il sole è tramontato da tempo e dobbiamo salire sulla barca!”
La voce di Adila mi rimbomba nelle orecchie, come se invece di avere nella gola delle normali corde vocali avesse delle campane di qualche cattedrale. La sua mano scuote la mia spalla, proprio dove lo squalo mi ha addentato. O almeno credo!
Apro prima un occhio e poi l’altro e osservo la figura esile di mia moglie stagliarsi al fianco del nostro giaciglio.
Una coperta gettata a terra in una fetida baracca di argilla e fango, divisa con altri disperati. Alcuni li conosciamo, altri hanno con noi in comune la disperazione. Ciò basta ad affratellarci tutti.
Il mercante di carne umana ha fretta. Scalcia senza remore i più lenti ad alzarsi. La notte sta sopraggiungendo ed è il momento ideale per mettersi in mare. Sfuggiti alle motovedette libiche, in una decina di ore dovremmo essere in un altro paese. Forse l’inizio di un’altra vita.
Riesco faticosamente a sollevarmi con la schiena verso il muro dove abbiamo addossato la coperta. Mi guardo attorno cercando di mettere a fuoco la stanza,l’ambiente che ho attorno. L’olfatto mi porta l’odore di pelli sudate. E di paura, di disperazione.
Farfuglio solo poche parole:
“Lo tsunami, Adila. Lo squalo…..”
“E’ tutto a posto, Bashir. E’ solo un brutto sogno”
Inshallah, Adila deve aver ragione:lo tsunami, la spiaggia,la città distrutta, lo squalo,sono solo frutto della mia fase onirica!
“Mi dispiace Adila, ma il sonno mi ha vinto”
“Già, me ne sono accorta,ma tra poco ci penserà la brezza di mare a risvegliarti!”
Solo ora mi accorgo della tazza che mi porge Adila. C’è del qahwa, il caffè arabo, ottenuto da una dallah che poggia sulla brace accesa al centro della stanza.
Mi alzo , ancora non perfettamente lucido, Le gambe non mi sembrano tanto ferme e la testa , dal dolore, mi sembra essere un’incudine percossa da un poderoso martello! Un senso di inquietudine mi pervade. Una paura ancestrale. Ma non posso farla trasparire. Non con Adila. Lì fuori, oltre quel mare, c’è il nostro futuro!
Per Allah, può un semplice sogno, per quanto terribile, ridurre in queste condizioni?
Parte terza: alla stazione
Notiziario della Rai del 19 aprile 2015:
“Un peschereccio si è capovolto a nord della costa libica mentre un mercantile si avvicinava per i soccorsi. Secondo un sopravvissuto le vittime sarebbero oltre 900, di cui 50 bambini: “Centinaia chiusi nella stiva”. Polemica politica, Salvini attacca. Il cordoglio del Papa. Mogherini: “L’Ue affronti questi drammi senza indugio”. Finora 24 le salme recuperate. Vertice d’emergenza a Palazzo Chigi, un superstite già ricoverato a Catania. I soccorritori: “Si vedono solo detriti e nafta”
Youssef è siriano. Come Bashir e Adila. E’ il fratello maggiore di Bashir, partito un mese prima. E’ alla stazione ferroviaria di Milano, insieme a centinaia di altri migranti. Aspettano un treno che li porti in Germania, in Svezia,dovunque possano avere un futuro.
Dormono sulle pensiline, per terra e mangiano quello che pochi volontari riescono a procurare insieme alle razioni offerte dallo Stato italiano. Sta guardando il notiziario attraverso un televisore esposto in una vetrina di un negozio di elettrodomestici.
Una lacrima gli esce dagli occhi. La prima di tante altre. Come piccole onde anomale solcano la sua faccia segnata dalle rughe.