“Andiamo, mister Balian, non sempre il diavolo è brutto quanto pare, non è vero?”
La donna che aveva pronunciato queste parole era appena discesa dall’auto corazzata che la divideva dall’inferno che era diventata Baghdad in quegli ultimi quattro anni.Era fermamente decisa ad affrontare quel tipo di inferno e il demone dell’odio, dell’accidia; non sapevo se il suo era coraggio o follia, forse era solo un modo per sentirsi viva, in quel mondo di morte.
Mi guardai intorno, per osservare , attraverso le lenti scure, un qualsiasi movimento atipico, un qualcosa che potesse allarmarmi e far scorrere l’adrenalina ancora più velocemente di quanto non circolasse già nel mio sistema sanguigno.
Tutto intorno a me sembrava appartenere a un paesaggio infernale, apocalittico; la città stessa di Baghdad lo sembrava, con i suoi pennacchi di fumo in lontananza che indicavano qualche attacco kamikaze o semplicemente l’incendio di qualcosa. O qualcuno.
Era un inferno con i suoi 40° C di temperatura che ti soffocavano, prendendoti per la gola come un invisibile vampiro assetato dell’aria che riempiva i tuoi polmoni.
Era un inferno per quel turbinio di polvere che circolava nell’aria e per l’accecante riflesso del sole sulle bianche mura delle poche case ancora in piedi o per quella leggera foschia tremolante indice del surriscaldamento dell’asfalto sotto l’azione di un sole impietoso.
Passai la lingua sulle mie labbra secche come a rincuorarle, per trovare la forza di esprimere il mio pensiero.
Avevo un compito duro, per niente piacevole, ma estremamente gratificante per via dell’eccezionale caratura della persona che mi stava al fianco. Dalia al-Sahwari, esponente politico iraqeno, costituente la parte moderata del nuovo governo democratico di quel tribolato paese, era una donna eccezionale, dalla tempra d’acciaio e dalla forza interiore immensa. Una splendida cinquantenne , i cui capelli brizzolati davano alla sua figura esile un’imponenza eccezionale; non potevi fissarla a lungo negli occhi perchè ti scavavano nell’anima e ti mettevano a nudo. I suoi occhi erano pieni del coraggio di chi non ha più nulla da perdere e può guardare con fierezza il mondo.
Dopo tutto era riuscita a sopravvivere agli orrori della dittatura di Saddam Hussein, perdendo un marito e due figli, ma non il lume della ragione e senza gettarsi in quel bagno di puro odio , di tutti contro tutti, che era diventata Baghdad, o per meglio dire l’intero Iraq, dall’arrivo di noi americani, quattro anni prima. Da allora aveva lottato solo ed esclusivamente per il suo popolo, per la sua gente, con le armi della bontà e della gentilezza, soccorrendo i più poveri e spendendo il suo tempo e le sue forze per risollevare tutti coloro che ne avessero bisogno.
Tranne forse se stessa.
Nel quartiere sciita di Sadr City ora lei voleva dimostrare che non potevano essere assurde convinzioni religiose a dividere il popolo e nonostante le ripetute minacce di morte aveva voluto comunque recarvisi. Il mio compito era di difenderla, o piuttosto di difendere l’idea che era in lei. Certo, un compito a pagamento, come tanti altri. Ma sarei bugiardo se non ammettessi che, conoscendola, mi sentivo gratificato anche dal punto di vista umano.
“Continuo nel ripeterle che non mi pare una buona idea, Dalia. Guardare il diavolo è una cosa, combatterlo è un’altra” La presi per il braccio, dolcemente ma in maniera ferma e decisa, in modo tale da farle capire che doveva stare al mio passo, e nello stesso tempo indicai ai sei uomini della scorta di disporsi nella maniera concordata.
“Almeno avrebbe potuto chiedere una scorta più sostanziosa.”
Lei mi sorrise, quel classico sorriso incantevole orientale : “ Io volevo fare una passeggiata per le vie commerciali di Sadr City, non comandare una forza di occupazione, mio caro Kyle.
E poi, crede che sei, sessanta, o seicento persone fermino questa follia? No, mio caro Kyle, se mi deve accadere qualcosa non voglio che la mia caparbietà sia responsabile di altre vite”.
“Quanto vale la sua vita, Dalia ?”
Dalia strinse con le sue mani il mio braccio “ Tutto. Niente.”. Sospirò, chiudendo gli occhi quasi a voler racchiudere in se, in quel momento, tutto il mondo che la circondava e poi li riaprì, sorridendomi di nuovo “ Andiamo, mio caro cavaliere senza macchia e paura, mi accompagni come farebbe un bel giovanotto con una ragazza intenta a fare shopping nella 5th Avenue a New York”.
Feci cenno a Buchanan, un gigante irlandese dai rossi capelli ricci, di dare occhio alla folla che ci guardava più incuriosita che ostile, assoggettata al fascino che emanava quella donna , un fascino fatto di coraggio e bontà.
Nel mio orecchio destro sentivo il ronzio della piccola trasmittente che mi collegava ai miei uomini. Speravo in me stesso di non sentire mai gracchiare quell’apparecchio. Ciò avrebbe potuto significare due cose : o non avremmo avuto problemi, o sarei morto in maniera talmente rapida da non accorgermene nemmeno.
Dalia camminava fra le due ali di folla, riunitasi sopra i fatiscenti marciapiedi che delimitavano altrettanti fatiscenti edifici. Dispensava sorrisi a tutti, incurante del fatto che fra quella gente poteva esserci il suo appuntamento con la morte.
La folla, fino a quel momento silenziosa, ci seguiva con il suo sguardo, soppesando ogni nostro passo, scrutando ogni nostro minimo movimento muscolare, credo che addirittura riuscisse a contare le gocce di sudore che imperlavano le nostre fronti.
Un caldo terribile, eppure venni scosso da un brivido di freddo che attraversò tutta la mia schiena per terminare alla nuca del collo: un allarme per il mio cervello “Kyle, qualcosa non va”.
Attraverso il microfono comunicai con i miei: “Buchanan, Lodge, alla vostra destra, l’uomo con il pastrano verde” .
Camminava lungo il marciapiede, tenendosi dietro la folla, ma fissandoci in continuazione. Indossava un lungo pastrano verde e la sua mano destra terminava sotto la piega opposta del pastrano: probabilmente aveva un mitra corto.
“ Kyle, guarda sul balcone alla tua sinistra a dieci metri davanti a noi”
Alzai lo sguardo e notai un leggero luccichio, probabilmente il mirino di un fucile di precisione.
In quel momento successe qualcosa che diede la stura a tutto quello che successe dopo. La folla, prima silenziosa, incominciò ad inveire contro Dalia e noi, colpevoli probabilmente solo di essere americani e militari. Le loro urla erano accompagnate dall’agitare ritmico delle loro mani in alto, a pugni chiusi, in atteggiamento di sfida.
Trattenni Dalia, che parve più stupita che impaurita, e mi frapposi fra lei e l’uomo sul balcone, sperando nella scarsa familiarità degli iraqeni con i fucili di precisione. Sussurrai all’orecchio di Dalia : “ Ora incomincia il ballo, Dalia, rimanga dietro di me e non faccia gesti inconsulti”
Lei mi strinse il braccio e guardandomi negli occhi mi diede una risposta in cui capì tutta la grandezza della sua persona, tutto il suo amore per il suo popolo : “ Qualunque cosa succeda, Kyle, non colpisca degli innocenti, loro sono il vero Iraq”. La guardai negli occhi senza pronunciare parola, in quel momento pensai che avrei voluta incontrarla in un altro tempo, in un altro luogo.
Ma ora ero lì , in quella stradina di Sadr City e avevo un problema impellente, tirarmi fuori di lì insieme ai miei uomini e alla mia protetta.
Nervi tesi e lucidi, adrenalina in circolo, tensione al punto giusto e occhi che guizzano cercando di capire come inizierà, dove e quando. Mi dispiace ammetterlo ma, in tutto questo, c’è anche dell’eccitazione animalesca, un piacere simile al godimento sessuale.
Colpo in canna, deciso a non lasciarmi sorprendere.
Dalla folla, improvvisamente si catapulta in avanti l’uomo dal pastrano verde. E’ armato, un lungo coltello ricurvo e si dirige verso Buchanan. Povero pazzo, non è così che puoi sorprendere un ex berretto verde, addestrato a ben altre situazioni, molto più svantaggiose.
L’assalto è impetuoso ma il gigante irlandese lo schiva facilmente e tende con tutta la forza il braccio sinistro in fuori,irrigidendolo come se fosse una sbarra di ferro. Raggiunge la carotide dell’irakeno e il colpo fa letteralmente sollevare il corpo del miserevole in alto, con gli occhi che schizzano fuori dalle orbite. L’uomo cade a terra pesantemente, sollevando un nugolo di polvere, un fremito percorre tutto il corpo e poi più niente.
Troppo facile, non è questo il vero attacco: solo un diversivo.
Echeggiano due colpi da arma da fuoco , e Burrows alla mia sinistra si accascia a terra, la gola squarciata da un proiettile e un fiotto di sangue che pulsa dalla vena arteriosa recisa. Mi volto verso la provenienza degli spari.
Incominciano a volare proiettili da varie parti, ora si tratta di capire solo chi può essere il pericolo più imminente per la tua vita senza distogliere l’attenzione dagli altri. Nel mentre la folla si disperde, fuggendo impazzita; uno sciame di api dove individuare quella regina: diventa una bella sfida. Caos, urla, obiettivi da scegliere tra quelli da scartare: il campo è a loro favore!
Ecco davanti a me un uomo con un pantalone rosso fuoco e una camicia, aperta sul davanti a quadri. Ha in mano un arma automatica e la punta verso di me, si agita e urla qualcosa che non comprendo.
Ho il tempo di piantarmi saldamente al terreno, con le ginocchia leggermente piegate e i piedi allargati, la classica posa del tiratore. Tendo il mio braccio armato in avanti e con la mano sinistra mantengo l’avambraccio destro. Faccio fuoco tre volte e i proiettili centrano in pieno petto l’uomo che cade come un birillo,facendo una giravolta su se stesso.
Un proiettile fischia ai miei piedi , è l’uomo sul tetto. Non sono abbastanza reattivo, maledizione , e la seconda volta che spara mi prende alla coscia destra. Il colpo mi fa piegare in due ma ho la giusta capacità di piegare dietro di me la povera Dalia. “Giù” le intimo. Cado a terra, rotolando sul mio fianco e sparo in direzione del luccichio. Quattro colpi in successione e poi un urlo. L’uomo si sporge dal parapetto e come un goffo uccellaccio si libra nell’aria, cadendo due piani più sotto, schiantandosi sulla bancarella di spezie che si trova sul marciapiede.
Sento il bruciore della ferita e vedo il sangue uscire copioso,solo ora mi accorgo che anche dal fianco esce del sangue e la mia camicia bianca ne è già imbrattata. Alla mia destra vedo il corpo di Lodge, riverso a faccia in terra, con gli occhi sbarrati che mi guardano e un terzo occhio, in mezzo alla fronte, da cui esce sangue rossastro che finisce in terra a formare una pozza vicino alle sue labbra. Buchanan è ancora illeso e con lui altri due miei uomini, mentre non vedo Gossman.
Buchanan si gira verso di me e solo allora vedo che ha un rivolo di sangue sull’avambraccio sinistro.
“Ti hanno beccato, Kyle?”
“ Un proiettile dal cecchino sul tetto: mi ha attraversato la coscia, e tu? Non vedo Gossman!”
Il gigante irlandese, senza distogliere gli occhi dalla folla, ringhiò “ Solo un graffio di striscio, mentre Gossman non c’è l’ha fatta”
Altre raffiche di colpi esplodono dai marciapiedi e colpiscono anche Robbers , alle ginocchia. Cade a terra urlando dal dolore, Dalia vorrebbe correre verso di lui, ma la trattengo piegata dietro al mio corpo. L’arma di Buchanan fa fuoco e una raffica di proiettili fa letteralmente a pezzi il petto dell’assalitore, spingendolo all’indietro verso il muro bianco della casa. Si affloscia lungo la parete lasciando dietro di sé una serie di strisce rossastre che spiccano sul fondo di calce bianca.
“Quanti erano, Buchanan?”
“ Sette. No, anzi, nove. Rogers, occupati di Robbers”
“ Dalia, non vi muovete, può non essere ancora finita. Buchanan, chiama l’auto e digli di venirci a prendere, la nostra gita è terminata”
Dalia si guarda intorno, lacrime calde gli solcano il viso, ma non sono lacrime di paura, ma di dolore.
”Dio mio, che massacro, e tutto questo per colpa mia. Kyle” sospirò quasi gemendo “ potrete mai perdonarmi? Perdonerete questa stupida vecchia bastarda?”
La strinsi a me e le cinsi forte le spalle ed in quel momento il mio cuore si colmò di orrore.
No, non era ancora finita e quello era l’epilogo peggiore.
Davanti a noi, ad una cinquantina di metri , vidi avanzare una ragazzino tra i dieci e i dodici anni.
La sua faccia innocente faceva contrasto col carico di morte che indossava. Tranne le braccia e la parte inferiore delle gambe, il resto del corpo era rivestito di cariche di esplosivo.
Nel portare quel biglietto di morte verso di noi il ragazzino era incurante del fatto che avrebbe riguardato anche lui, ma,al contempo, perfettamente deciso a consegnarlo al mittente.
L’orrore era al massimo, perché notai che aveva il detonatore in mano.
Avremmo dovuto colpirlo al capo, nella speranza che il colpo lo uccidesse prima che il cervello comandasse alle dita di premere quel pulsante. Io da terra ero in una posizione svantaggiosa, e quindi chiamai Buchanan : “ Buchanan?!”
“ Ho visto, Kyle, è sotto tiro e se vuoi lo freddo”.
In irakeno ordinai al ragazzo di fermarsi, sperando in un suo ripensamento, ma il suo sguardo mi dava poche speranze. Diavolo, una cosa è sparare ad adulti armati e decisi ad ucciderti, un’altra cosa è sparare ad un bambino, anche se armato fino ai denti con un carico mortale di esplosivo. Ma lì era in ballo la nostra vita e poco puoi farci se devi prendere delle decisioni che ti perseguiteranno tutta la vita.
“Spara Buchanan, spara Iddio benedetto e che il Signore ci perdoni”
Un urlo disumano si alzò alle mie spalle, era Dalia “ No, è solo un bambino !”
Si divincolò dalla mia presa e si diresse verso il bambino. La mantenni per il lungo vestito che indossava “ Dalia, non faccia pazzie, è pieno di esplosivo!”
Dalia si voltò verso di me e mi sorrise, con quel sorriso che tante volte avevo ammirato
“ Kyle , prima mi ha chiesto quanto valga la mia vita per me. Ecco, ora è il momento in cui la mia vita non vale niente se per salvarla devo sacrificare quel bambino “
Tiro a sé la lunga gonna, liberandola dalla mia stretta “ Vedrà, Kyle, quel bambino non si farà saltare in aria, lo convincerò io”
Si diresse a passo deciso verso il messaggero di morte. Tentai di alzarmi ma la mia gamba ferita si piegò sotto il peso del mio corpo e fitte lancinanti giunsero fino alla bocca del mio stomaco.
“ Spara, Buchanan , spara prima che si avvicini troppo”
“ Non posso, Kyle. Dalia mi impalla la visuale, rischio di colpirla “
“ Allora spara a Dalia ad una gamba, ma non permetterle di avvicinarsi”
Troppo tardi.
Il ragazzino, vedendo Dalia andare verso di lui, le corse incontro. Si fermarono uno di fronte all’altro alla distanza di un braccio, per lunghi interminabili istanti. Non parlavano ma ero sicuro che i loro occhi si dicessero tutto.
“Vado a prenderla, Kyle”
Lo fermai con un gesto della mano “ E’ inutile Buchanan, ora siamo solo nelle mani di Dio. O di Dalia. Andare lì servirebbe solo a far precipitare la situazione e a farti ammazzare”.
Per un momento sperai che i magici sorrisi di Dalia avessero compiuto un miracolo, aperto una breccia nell’animo di quel ragazzino.
Vidi Dalia abbracciarlo e baciarlo sulla testa dai neri capelli corvini. Sentii che gli diceva qualcosa ma non riuscii a capire cosa.
Vidi con orrore il braccio armato di detonatore del bambino alzarsi in alto e il pollice della mano premere quel pulsante. Ebbi la forza di urlare con tutto il fiato che avevo nei polmoni “NOOOOO”.
L’impulso corse lungo il filo isolato collegato all’esplosivo che, una volta raggiunto, esplose con un fragore tremendo. Vidi i corpi del bambino e di Dalia disintegrarsi in mille pezzi scagliati in aria seguiti da una nube di sabbia, asfalto e polvere,sangue e brandelli di carne umana e vestiti.
La terra tremò sotto di noi, scuotendo i nostri corpi, poi fummo investiti dall’onda d’urto, abbattendoci a terra e quasi strappandoci i vestiti da dosso.
Pensai che i miei timpani erano rotti, in quanto tutto intorno a me era asettico, privo di qualsiasi rumore. Assordato e quasi accecato dalla polvere negli occhi mi girai su me stesso e cercai con gli occhi Buchanan.
Aveva del sangue che gli colava dalle narici, ma non pareva avere altri danni.
Mi alzai, barcollando come un ubriaco e mi guardai intorno.Vidi arrivare la macchina corazzata e scenderne l’autista. Poi vidi solo un velo nero che scendeva piano piano. Erano le undici del mattino ma mi parve che scendessero le tenebre della sera. Ricaddi a terra, non più padrone del mio corpo.
Forse stavo morendo. L’autista mi aveva raggiunto. Mi parlava ma non riuscivo a sentirlo. Lo guardai, cercai di metterlo a fuoco: cosa mi stava dicendo? Cercai di leggere il suo labiale, prima che le forze mi mancassero completamente e che quel velo nero calasse del tutto. Mi stava semplicemente chiamando: : “Signore, signore..”
Poi più niente. Dalia, forse ti sto raggiungendo per godermi ancora qualche tuo sorriso.
“Signore…..”
“Signore, Signore…”
La mano snella, dalle unghie ben curate, color rosa perlato, premeva sulla mia spalla, dolcemente ma in maniera decisa.
Quella mano era fermamente decisa a scuotermi dall’incubo che, ricorrente, mi perseguitava da tre mesi oramai. Un misto di gratitudine e rabbia affiorava in me , in quel momento, perché se volevo essere salvato ogni volta che il sonno mi sprofondava in quell’orrore era anche vero che il ritorno alla realtà mi faceva sentire ancora più male.
“Signore, la prego, siamo in procinto di atterrare a Sainte Marie, Nosy Boroha; la prego di allacciarsi la cintura.”
Il sorriso amichevole che abbelliva quel volto angelico , dalle labbra turgide e dai capelli biondo paglia, era qualcosa che mi riportò subito alla realtà , anche se credo che la mia risposta fu più un grugnito che qualcosa di adatto a una simile bellezza.
Feci cenno col capo di aver capito e passai i secondi seguenti a cercare di allacciarmi la cintura mentre i miei occhi famelici divoravano quel delizioso fondoschiena che si dirigeva verso l‘avanti dell’aereo.
Ecco qualcosa per cui vale la pena vivere, o anche morire. Se nella mia vita ho imparato qualcosa è che ci sono due cose che fanno scorrere il sangue nelle vene in maniera adrenalinica : le donne e il pericolo.
E spesso queste due cose viaggiano insieme.
Venivo da due mesi di convalescenza e due interventi chirurgici, con la morte che sembrava volermi far sua per poi abbandonarmi come la più lasciva delle amanti, dopo l’attentato a Sadr City.
A seguito della morte di Dalia avevo lasciato il lavoro di contractor e grazie ad una buona posizione economica e al fondo pensionistico anticipato, abbandonai l’Iraq e gli orrori a cui avevo assistito. Volevo solo godermi un po’ la vita e cercare di dimenticare. Avevo orami passato la quarantina e gli ultimi dodici anni li avevo passato in giro per il mondo ad ammazzare cattivi o a rischiare di essere ammazzato. Serbia, Somalia, Iraq due volte, Salvador e altre parti del mondo, non da turista però.
Avevo imparato che la morte e la vita viaggiano su un filo, e quando si incontrano l’una o l’altra devono segnare il passo.
Quello che non mi andava piu’ giu era il fatto che a deciderlo potesse essere un bambino.