Quando il calcio era magia poteva capitare che un ragazzino con alcune problematiche come un leggero strabismo, la spina dorsale deformata, uno sbilanciamento del bacino, sei centimetri di differenza in lunghezza tra le gambe, il ginocchio destro affetto da valgismo mentre il sinistro da varismo, venisse ritenuto, in pratica, dalla commissione medica invalido e non adatto al calcio.
Siccome però quel calcio era magia, e nei mondi fatati tutto può accadere, al brutto anatroccolo bastava semplicemente sognare di diventare cigno.
O quantomeno un piccolo uccellino veloce e inprendibile per tutti
E così un qualunque Manoel Francisco dos Santos si trasformava in Manè Garrincha.
Garrincha, come qualsiasi uccellino, distribuiva allegria attraverso dribbling, finte, goal.
E a nessuno importava che una
speciale commissione medica istituita dalla Federcalcio brasiliana lo avesse sottoposto a un test d’intelligenza: 38 su 100,il punteggio più basso lo bocciava impietosamente.
«Non idoneo a partecipare alla manifestazione», scrissero gli esperti in kedicina ma non in anime.
E il c.t. Vicente Feola, che da buon brasiliano credeva alla magia, non li ascoltò e lo mandò in campo.
Nel ’58 e nel ’62, quando lui, Manè, azzoppato di natura, si caricò sulle spalle il Brasile di un Pelé azzoppato e lo portò al titolo.
Garrincha volava, con quella sua zampetta offesa, trasportato veloce da un vento che soffiava solo per lui.
Una sola finta, gli permetteva quella zampetta colpita dalla poliomielite, ma letale per i suoi avversari.
Una sola finta che non è servita però nella vita di tutti giorni.
Quel 38 su 100, al test di intelligenza, che poteva bastare nel mondo del calcio era una condanna nella vita reale.
Compagnie sbagliate, alcol a fiumi, donne, matrimoni falliti , 14 figli dispersi per il mondo, soldi scialacquati in vizi, e presto ti ritrovi seduto in uno spogliatoio a piangere sulla tua condizione di uccellino che ha perso la forza nelle ali.
La magia, quella bella , termina e l’uccellino diventa un fantasma.
Si chiude nella sua stessa gabbia, fatta di stenti e miserie, di alcol e pietà.
Il suo fegato è a pezzi, i dottori non gli regalano speranze, la mente è offuscata dai troppi tranquillanti che gli alleviano i dolori fisici e dell’anima, quella zampetta più corta non lo sorregge più e gli amici, quelli più cari,come Nilton Santos, e quelli più infidi, si son dispersi.
L’uccellino è voluto diventare Icaro, rimanendo bruciato per essersi troppo avvicinato al falso sole della gloria effimera.
E così Garrincha diventa un fantasma, l’uccellino non vola più se non nei pallidi ricordi di chi lo ha chi lo ha visto librarsi sui campi di calcio.
Scompare dai radar.
Lo ritrovi nel 1980.
Lo pagano, con qualche soldo e qualche pinta di birra o di cachaca, per apparire seduto su un carro al Carnevale di Rio.
Un atto di pietosa misericordia che diventa l’ultimo implacabile insulto a se stesso
Indossa la maglia del Brasile, i calzoncini, i calzettoni e le scarpe da calcio ai piedi.
Una parodia dell’uccellino che fu.
Lo sguardo vuoto, assente, perso in un orizzonte che oramai è solo nella sua mente, in attesa forse di quel vento magico che gli avrebbe permesso di saltare gli avversari come birilli.
Non vola più, forse guarda quella folla senza nemmeno capite perché lo acclamano.
L’ennesima festa foraggiata dal suo mito, l’ennesimo conto da saldare con un destino beffardo.
Tre anni dopo, a soli 49 anni, l’uccellino spicca il suo ultimo volo, affronta con la sua zampetta corta l’ultima finta, quella sulla vita.
Termina la magia, ma si consegna al mito, quello sì eterno.