Concepita in carcere.
Rapiti, lei e il fratellino, dal padre, reduce dal Vietnam con una lunga sequela di reati e carcere, quando erano piccoli.
Lingua tagliente e faccia tosta.
Bellissima e un tantino “pazza” da conoscere persino lei stessa il carcere.
Con questo prologo potresti essere una eroina di romanzi o di un film.
Magari, visto il cognome, un frutto della progenie di un mitico personaggio di Star Wars, quel Ian Solo che ci ha visto crescere accompagnati da una delle saghe più durature e belle di ogni tempo.
Oppure semplicemente, nella realtà, Hope Solo.
Semplicemente si fa per dire, perché questa bellissima ragazza, dal fisico di modella e dagli occhi che incantano, è il Buffon versione femminile del calcio femminile mondiale, miglior portiere femminile 2015, primatista di presenze (174) della nazionale Usa, 2 medaglie d’oro alle Olimpiadi, un oro, un argento e un bronzo in tre mondiali di calcio femminili, detentrice del record d’imbattibilità nel campionato americano (più di mille minuti).
Ma non solo Buffon: in lei c’è del George Best , del Robin Friday dei quali già parliamo in altre pagine in questa rubrica.
In comune, hanno il calcio, l’essere bravi, ma anche dannatamente “cattivi” o comunque”sovversivi”.
Sin da piccola, e anche da adulta,ha conosciuto il male e il bene, venendone segnata ma anche dalla quale rinasce, diventando sempre più forte.
Dopotutto, Hope significa “speranza”, e Solo è sinonimo di solitario; insomma una persona che è abituata, segnata anche nel nome, ad essere sola e a combattere, ma anche con una gran forza interiore, che è quella della speranza, che il domani sia migliore.
Diventando sempre più Hope Solo, un mito per gli americani.
Il padre Jeffrey, un reduce disadattato dal Vietnam stile Rambo, la concepisce durante un colloquio matrimoniale con la moglie in galera.
Jeffrey continua ad entrare ed uscire dal carcere, rapina banche.
La moglie decide che non può piu continuare quella storia di dannazione.
E va via, con Hope e il fratellino Martin.
Jeffrey è sopravvissuto al Vietnam e non è tipo di arrendersi.
Rapisce i pargoli, scatenando una caccia all’uomo che alla fine lo vede arrendersi alla SWAT e ritornare in carcere.
Hope, anni dopo, dirà di non odiarlo per questo. Che capisce che il padre è vittima di una guerra che ha segnato una generazione di americani.
Tant’è che un giorno, dopo anni, lei lo riconosce dai tatuaggi in un parco (il padre seguiva silenziosamente la carriera calcistica di quella figlia che aveva voluto in carcere, aveva rapita tornando in carcere, e ora sentiva sua uscito dal carcere).
Lo avvicina, gli parla, stanno insieme e pian piano ricominciano ad avere un rapporto tra genitore e figlia.
Dura poco, perché il destino è beffardo.
Lei gli procura un biglietto per una partita della nazionale, ma lui manca all’appuntamento.
Il dolore per quel nuovo abbandono viene lenito, dalla giovane Hope, solo dal sapere che questa volta suo padre non ha colpe: è morto per infarto, da solo.
Hope è segnata, come detto prima, dal bene e dal male.
Non c’è da stupirsi quindi quando una notte la polizia entrò in casa sua, a Seattle, e la arresta.
L’ accusa è pesante: violenze e maltrattamenti alla sorella e al nipote.
Hope, già stella dello sport americano, viene trovata ubriaca, in stato alterato e sia sua sorella, sia suo nipote, hanno evidenti segni di violenza sul corpo.
Come il padre, Hope conosce il carcere, pur dichiarandosi innocente. Ne esce dopo poco, senza cauzione.
Ma conosce anche il bene, grazie alla sua immane forza di volontà, diventando ben presto una beniamina dello sport, guadagnando milioni solo con gli sponsor che se la contendono.
Al calcio si avvicina come elemento di riscossa personale e valvola di sfogo.
E’ alta, bella e straordinariamente brava.
Ma ci vogliono i soldi e, quando sembra dover abbandonare, il suo quartiere si prodiga in una raccolta fondi per farla continuare, lei, la giovanissima Hope, già presente nelle nazionali giovanili.
Ringrazia quei benefattori mettendoci ancora più grinta, arrivando a conquistarsi una borsa di studio per meriti sportivi.
Vuole sofndare nel calcio, e così prova il calcio professionistico europeo femminile, prima in Svezia poi in Francia, prima di ritornare in USA
Bella, brava e anche dannatamente “matta”.
Hope si dimostra in gamba anche nella boxe!
Scopre, appena 17enne, il tradimento del suo fidanzato, raggiunge la nuova fiamma e accompagna il classico “Hey you, fucking slut!” e fa partire l’ancor più classico gancio destro con conseguente naso rotto.
Da una carattere così, che altro ti aspetti se non una ragazza senza peli sulla lingua,che agisce prima di pensare,che non ha timore di essere giudicata?
Così, quando Greg Ryan viene nominato allenatore della nazionale a stelle e strisce,Hope non si smentisce dichiarando “difficile trovare un coach più incompetente e meno adatto di lui”.
E mica ritratta o si pente, giammai!
Tanto che, quando al mondiale del 2017, le viene preferita, proprio da Ryan, per il ruolo di portiere titolare, la collega Brianna Scurry, e in semifinafinale gli Usa ne buscano 4 dal Brasile, per lei è naturale affermare che “Se ci fossi stata io non sarebbe finita così”
Apriti cielo! Finisce fuori rosa, le rinfacciano tutto, è costretta a ritornare a casa da solo con un aereo di linea.
Ma lei è impertinente nella sua consapevolezza di se stessa.
Diventa ancor più forte, tanto che non possono fare a meno di convocarla per le olimpiadi di Pechino, nel 2008, e lei porta gli Usa a vincere l’oro!
E non ha peli sulla lingua, nossignore!
Proprio parlando delle Olimpiadi ci va giù duro:
“Al Villaggio Olimpico si fa sesso ovunque. Alle Olimpiadi succede di tutto. Gli atleti, se si allenano, sono super concentrati, ma se escono a bere un drink, finisce che se ne scolino 20 e potete immaginare cosa succede dopo… Si fa molto sesso perché l’Olimpiade è l’esperienza di una vita e si vogliono creare ricordi indelebili. Ho visto persone fare sesso all’aperto, tra i prati o gli edifici. La gente ci va giù di brutto”
Fosse solo questo!
Hope continua imperterrita, attirandosi di nuovo l’ira della federazione:
“Quando finimmo di festeggiare la medaglia d’oro, ci togliemmo i vestiti da sera, indossammo di nuovo gli abiti sportivi e alle 7 di mattina, senza andare a dormire, ci presentammo al Today show ubriache. Non c’è bisogno di dirlo, avevamo un pessimo aspetto.
Dopo i festeggiamenti, tornando al Villaggio, incontrammo due celebrità come Vince Vaughn e Steve Byrne. Decidemmo di continuare la festa, iniziammo a parlare agli addetti alla sicurezza, mostrando le medaglie d’oro, e riuscimmo a far entrare il nostro gruppo senza i pass, cosa mai vista prima. E quando tornai in camera mia, non è detto che fossi sola. Ma questo è il mio segreto olimpico”
Talmente impertinente che, quando la lega femminile rischia il fallimento e le giocatrici di rimanere disoccupate, lei posa nuda per una rivista: “Debbo pur mangiare!”
Nessuno sfugge alla sua lingua tagliente, nemmeno Brandi Chastain (conosciuta per essersi tolta la maglietta e rimasta in reggiseno dopo la vittoria del mondiale del 1999) accusata da Hope di essere sì una brava ex calciatrice ma ora una pessima commentatrice.
Oppure quando, parlando delle compagne di squadra, afferma: “Bacio i sederi delle mie compagne, ma se necessario li prendo a calci”.
Detestata dalla stampa, mal sopportata dalle compagne, invisa alla federazione.
Ma lei fa spallucce, para un rigore in semifinale al Canada, e porta gli USA a vincere il secondo oro olimpico contro il Giappone a Wembley, nel 2012.
Nel 2016 ha nuovamente fatto parlare di sé diventando il primo portiere professionista (uomo o donna) a parare 100 rigori in gare ufficiali,questo per il lato buono.
Per il lato “bad” inscena un siparietto nella gara olimpica con la Svezia risolta ai rigori: impiega 5 minuti nel cambio dei guanti allo scopo di innervosire l’avversaria!
Fra una polemica e l’altra, tra una parata e un servizio fotografico, Hope si prende tutte le sue rivincite, sulla vita, sulle stampa, sui dirigenti che non la vedono di buon occhio, non rinunciando mai ad essere se stessa, e portando, nel 2017, gli USA a vincere il mondiale in Canada.
Lei, dannatamente bella e brava, è la reale Wonder Woman del calcio USA, più di una celebrità come Mia Hamm.
Attenti però a non dirglielo!
Vi risponderebbe a muso duro, facendovi sentire impotenti e persi di fronte a quei magnifici occhi : “Wonder Woman? E’ un fumetto. Mia Hamm? E’ il passato! Io, Hope Solo, sono reale., E sono la migliore!”