Napoli di tutto, e tanto, ha bisogno.
Meno dell’ennesima stucchevole polemica fra il sindaco Luigi De Magistris e lo scrittore Roberto Saviano.
Dovrebbero essere due anime alleate che combattono, in maniera diversa, le ferite putride di questa città.
Alla fine finiscono con l’essere due medici allo stesso capezzale.
Uno che spera che il paziente si riprenda oltre ogni umana convinzione, l’altro augurandosi la lenta eutanasia senza avere il coraggio, soprattutto la volontà, di sottrarlo alle cure inutili.
Insomma, accanimento terapeutico comunque, ma con fini diversi.
Speranza il primo, disperazione il secondo.
Ha ragione Saviano a denunciare la malavita esistente, la sua progressiva trasformazione in metastasi sempre nuove, sempre terribili .
Metastasi che si sono trasformate, nel corso dei decenni , dall’ “uomo d’onore” ai “ragazzini di paranza”, quelli del “tutto e subito”, passando per una innumerevole corte di “guappi di cartone”.
Non solo malavitosi, ma anche politici, amministratori, uomini della giustizia, società civile insomma.
Che hanno aiutato Napoli a sprofondare sempre di più nella melma sopra la quale Saviano cammina, senza sporcarsi le scarpe, calpestando il corpo disteso di una città ferita, umiliata.
Ma non morta.
Per quanto Saviano premi, e per quanto lo faccia anche per amore verso questa città, questa terra, la testa non ne vuole sapere di rimanere nel fango.
E si risolleva.
C’è la camorra, è vero.
E non c’è solo lei, purtroppo: ci sono gli scippi giornalieri, ci sono le truffe, da sempre prerogativa di un popolo che non sempre l’ingegno l’ha usato per il verso giusto.
Che non sia quello di riuscire a portare il pane a tavola, anche a discapito di altri.
Non si sarà arrivati a vendersi la Fontana di Trevi, come Totò, ma il Rolex o la borsa contraffatti, il mattone al posto dell’autoradio, e mille altre espedienti oggi, come il contrabbando di sigarette ieri, sono simboli, in fin dei conti.
Simboli di un disagio sociale, questo è vero.
E’ come per l’influenza di stagione: se la conosci la previeni.
E , alla fine , fanno parte di quel patrimonio, nel bello e nel brutto, che devi conoscere, di questa città.
Che puoi o completamente amare o completamente odiare, ma non rimanere indifferente.
Napoli non è solo questo, però: ci sono anche le mille bellezze architettoniche, i suoi colori, i suoi profumi, e la vita che traspare nei movimenti del suo popolo giorno dopo giorno.
Un popolo che ha sempre dovuto combattere per sopravvivere.
E che oggi sta cercando di ribellarsi ad un ingiusto destino, costituendosi in gruppi di volontariato, associazioni culturali, comitati civili e via dicendo.
Ancora una volta, il cuore pulsante di questo attivismo, la metà pulita senza metastasi terminali, nasce dai giovani.
Ancora una volta, la rinascita di questa città parte dai ragazzi, da quella parte sana e, forse, anche incosciente nella sua capacità di carpire il momento del cambiamento.
E ha incominciato la sua resistenza, come nel 1943.
Saviano ricordi che Napoli fu la prima città italiana, ed europea, a liberarsi dal giogo dei nazisti.
Quei ragazzini, che oggi sono malavitosi pronti a tutto, allora furono tra gli artefici dell’insurrezione.
Gennarino Capuozzo, l’eroe di quei giorni, era uno scugnizzo come tanti , che la fame e la guerra avevano reso sfrontato e ribelle, così come lo sono ancora oggi tanti ragazzini di Napoli che sin da bambini devono confrontarsi con la realtà della città.
Gennarino tornò a casa, prese una borrraccia d’acqua e una pagnotta, diede un bacio a sua madre e le disse: “Mammà , nun mi aspettà, tornerò quann Napl sarà libera”.
Dietro di lui si formò un gruppo di rivoltosi, quasi tutti ragazzini. Si unirono agli adulti.
Incominciò la liberazione di Napoli dal giogo nazista.
Non è una storia a lieto fine.
Gennarino morirà, ma con una magnifica frase sulle labbra :“Adesso vi facciamo vedere noi chi sono i napoletani“.
Una frase che molti napoletani ancora oggi vogliono tornare a pronunciare, tornando a rivoltarsi contro un destino mai scritto, ma che devono subire.
Da quel fango, che Saviano vede interminabile, vorrebbero rialzarsi , riprendendosi la loro città, la loro vita, il loro futuro.
Hanno bisogno di un accanimento terapeutico al fine di una speranza, non di una lunga eutanasia solo per non staccare la spina.
Piccole azioni come tenti piccoli mattoni.
Per ricostruire.
Hanno bisogno delle parole dei De Magistris, di ogni piccola goccia che può essere versato in questo mare, piuttosto che delle condanne di Saviano.
Che conosciamo tutti, che sono vere, reali.
Ma non l’unica cosa di questa città.
E hanno bisogno di tutti coloro che credono che sia possibile, un cambiamento.
Anche di Saviano.
Provi a scrivere anche del lato bello di questa città, della sua lotta a questa sofferenza, di questo suo ribellarsi.
Faccia sua una frase (forse erroneamente attribuita, ma che non ne mina la bellezza) di Peppino Impastato, e che oggi fa lustro di sé in un androne del Liceo Vittorio Emanuele II di un’altra città magnifica, ferita ed umiliata come Napoli: Palermo.
““Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità, si mettono le tendine alle finestre, le piante sul davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore.”
Ecco, provi Saviano a raccontarne la bellezza, dopo averne raccontati gli orrori.
Forse non sarà un operazione commerciale, al quale da tempo si è dedicato (mi ricordo di un battibecco a distanza con Vittorio “Vik” Arrigoni, con lo scrittore partenopeo che definiva Israele come culla di democrazia, e l’attivista italiano che ne denunciava quotidianamente gli orrori, fino a morirne).
Ecco, strano parallelismo tra Gerusalemme e Napoli: lì, in Terra Santa, Saviano ne vedeva solo la bellezza. Effimera.
Ma, se non vuole solo continuarla a calpestarla, per non sporcarsi le scarpe, Napoli ha bisogno di questo.