Esce il 24 novembre il nuovo libro di un combattente per il giornalismo e per la verità, costi quel che costi. Parliamo ovviamente di lui, Oliviero Beha, indomito fustigatore della barbarie nella quale siamo immersi. Nostro malgrado.
Forse. Ma, ancor più probabilmente, non senza la colpa di non aver fatto granché per impedire che si arrivasse alla “maleodorante palude” in cui già viviamo e in quella planetaria prossima ventura.
“Mio nipote nella giungla” (Chiarelettere collana Reverse, 176 pagine) è un potente, rigoroso e sofferto atto di denuncia del nostro tempo e, al tempo stesso, riannoda le fila del percorso che ci ha condotti fin qui. Un manuale di sopravvivenza per figli e nipoti, certo, cui forse può ancora servire conoscere fino in fondo come e perché ci si è arrivati (soprattutto, attraverso quali passaggi).
Ma il nuovo libro di Beha non è soltanto questo. E’ un esame di coscienza collettivo, troppo doloroso eppure necessario, non meno delle pagine di grande giornalismo firmato Beha che lo hanno preceduto (dall’ormai mitico “Italiopoli” ai “Nuovi mostri” al “Culo e lo Stivale”, per non parlare delle memorabili trasmissioni radiofoniche e televisive al tempo di Zorro).