Luciano Re Cecconi e Tommaso Maestrelli.
Storia e dolore della Lazio.
Non solo lo scudetto vinto insieme li accomuna.
Ma anche la morte, distanziandoli in poco piu’ di un mese.
Tommaso Maestrelli,stroncato da un tumore al fegato, muore il 5 dicembre 1976.
Non basta, per i colori biancocelesti, il dolore rovente della perdita di quel magnifico condottiero che aveva saputo condurre un gruppo di brillanti anarchici, e non solo calcisticamente, alla vittoria del campionato qualche anno prima.
Una vittoria nata fra liti, scazzottate, clan divisi, allenamenti separati e qualche pistolettata ai novizi o ai lampioni.
Un manipolo di pazzi scatenati che in campo si trasforma in un solo uomo capace di soffrire, affondare e poi riemergere per sconfiggere ogni avversario.
Luciano Re Cecconi è l’angelo biondo di quella banda di matti che decide di sovvertire l’ordine del calcio italiano.
Lombardo di nascita, romano di adozione, anche lui proviene da una storia di povertà affrontata con la dignità di chi sa che solo col duro lavoro si ottengono risultati.
Luciano lo sa, gli basta vedere le mani dure e rovinate del padre muratore.
Lo sa ogni volta che lucida un’auto nell’officina dove ha trovato un lavoro come carrozziere che alterna alla sua passione, il calcio.
Quel “Re” davanti a quello che dovrebbe essere il suo cognome originale, Cecconi, suona quasi uno sberleffo per chi deve affrontare i patemi del dopo guerra ogni giorno.
Ha, però, quel suffisso un fondamento che Luciano rivendica con dignità e orgoglio:
«Quel Re davanti al mio cognome, è un regalo del re. Vittorio Emanuele II passò per Busto Arsizio e per Nerviano e gradì la buona cucina, l’accoglienza ricevuta. Allora volle beneficiare la gente delle nostre campagne lombarde con un dono simbolico ma indelebile. Così, i Cecconi diventarono pomposamente Re Cecconi, i David Re David, in base al riconoscimento stampato. Il regalo di Vittorio Emanuele II, trasmesso di generazione in generazione, l’ho accolto con orgoglio. È una ricchezza che il mondo non potrà mai portarmi via. Ho il cognome ornato. E poi suona bene».
Dal classico oratorio alla Pro Patria in C, fino al Foggia prima in B e poi in A dove trova il suo mentore, quel Tommaso Maestrelli che se lo porta alla Lazio, e con il quale dividerà le vittorie ma cnhe un destino tragico.
Qualcuno lo chiama Cecconetzer, in virtu’ di quella sua capigliatura bionda che lo fa somigliare al formidabile centrocampista teutonico Gunter Netzer.
I piu’, però, preferiscono chiamarlo Volkswagen, perché in campo non si fermava mai , motorino inesauribile (una volta il dottore della Lazio, Ziaco, gli disse che era il responsabile della crisi respiratoria di Benetti: a furia di correre aveva spompato il roccioso centrocampista del Milan).
Centrocampista di sostanza e qualità, alle quali abbina qualità umane e caratteriali, diventa il cardine della Lazio che passa, in appena due anni, dalla serie B al titolo di Campione d’italia e si conquista anche un posto in Nazionale.
Ha un futuro radioso, nonostante la Lazio non sia piu’ quella dello scudetto. Non c’è piu’ Long John Chinaglia, fuggito negli USA dietro ai dollari, ma c’è una nidiata di giovani promesse come Bruno Giordano e Lionello Manfredonia.
Già, un futuro radioso, fino a quel maledetto martedì del 18 gennaio 1977
LA TRAGEDIA
Il campionato del 1976-77, per Re Cecconi e la Lazio, si alterna fra alti e bassi.
Non c’è piu’ Tommaso Maestrelli, sconfitto dal cancro nel dicembre del 1976, al suo posto il brasiliano Luis Vinicio.
La Lazio debutta contro la Juventus (finita 2-3 per i bianconeri) all’Olimpico e Re Cecconi delizia i tifosi biancocelesti con un goal capolavoro, che sarà anche l’ultimo della sua carriera.
Gioe e dolori si alternano.
Infatti, alla terza di campionato contro il Bologna, Re Cecconi subisce al 19′ un grave infortunio al ginocchio sinistro dopo un intervento del bolognese Tazio Roversi, che lo costringe a uno stop di parecchi mesi.
Non importa, Luciano è abituato a lottare e soffrire, nella vita come nel campo.
Sa che tornerà piu’ forte di prima.
Per ora si gode la sua famiglia, quella città, Roma, che lo ha adottato con i suoi rioni tanto uguali al suo paese natio in Lombardia, Nerviano.
Con gli uomini che lo stimano come calciatore e uomo, le donne che lo adorano per quella sua capigliatura bionda quasi albina, con i commercianti dei vari negozietti che lui conosce uno per uno e da essi viene riconosciuto e atteso e salutato.
Tranne da uno.
Sono anni duri, a Roma e in tutta Italia.
Sono anni difficili, anni di piombo, un crescendo di delitti, rapine e sequestri, la criminalità comune e i terroristi si finanziano con assalti ai negozi e altri crimini. Il clima è teso in tutto il Paese.
Anche Agostino Di Bartolomei, il futuro capitano e bandiera della squadra dell’altra sponda del Tevere, la Roma, confesserà di girare armato.
E le pistole sono dannatamente nel destino suo e di Re Cecconi.
E’ una dannata sera del 18 gennaio 1977.
Piove a Roma, il tempo è cupo, tutto sembra presagire a qualcosa di piu’ terribile, qualcosa che il destino ti prepara e non puoi sottrarti.
Luciano Re Cecconi, insieme al compagno di squadra Pietro Ghedin e al gioielliere Fraticcioli , esce per la solita passeggiata in quei quartieri che tanto bene conosce e ama.
Due chiacchiere , un saluto, una stretta di mano, una vetrina vista, tanto per rompere la noia.
E forse è proprio per rompere quella noia maledetta che lui, Fraticcioli e Ghedin decidono di inscenare, per scherzo, una rapina in una gioielleria di Roma.
Sanno che è stata rapinata altre volte, pare che conoscano il proprietario, Bruno Tabocchini, e che vogliano inscenare l’ennesima goliardata che caratterizzava quella squadra di purosangue ai quali difficilmente si riusciva a mettere le briglia.
Entra con le mani infilate nelle tasche del soprabito, il colletto alzato per nascondere il viso e grida (sembra): «Fermi tutti, questa è una rapina!»
Il proprietario, Bruno Tabocchini, stanco dell’ennesima aggressione, gli spara a bruciapelo un colpo di rivoltella, non riconoscendo l’illustre rapinatore.
Cecconetzer, o Volkswagen fate voi, cade a terra, ha appena il tempo di dire: «Ma era uno scherzo…».
E poi si rivolge a Ghedin: «Ghedo, non ti muovere, aspetta…»
Ma è lui ad andare via, per sempre.
Mille storie verranno raccontate sul quel tragico fatto. Versioni contraddittorie per una verità mai raccontata completamente e che ha mille risvolti. Non saremo qui a narrarli.
Luciano Re Cecconi aveva ventinove anni; Volkswagen, come era chiamato, terminava, in questo tragico modo, la sua ultima corsa, quella della vita.