Periodo di stanca.
Professionale, morale, affettiva, comunque personale.
Per questo ho tralasciato questo sito, ultimamente.
Aggiungiamoci poi che questa sensazione di malessere è amplificata dalla visione di un mondo che va a rotoli, che ha perso i suoi punti cardini, lavoro, amore, famiglia e responsabilità.
In cambio ci siamo ritrovati finanza, intolleranza, terrorismo e PokemonGO.
Ci sarebbe da suicidarsi se non si corresse il rischio di vedere arrivare trafelati e affranti un Renzi o una Boldrini alle nostre esequie!
Ci sarebbe da ribellarsi anche se poi, all’atto pratico, potremmo girarci intorno ed accorgerci di essere tremendamente soli, del tipo “armiamoci e vai!”
Eppure devo trovare la forza di dire questo breve pensiero.
E tra i tanti aspetti di questo mondo a rotoli, decido di tediarvi con personali considerazioni su questa guerra non dichiarata, ma inesorabilmente in atto: il terrorismo e lo scontro di civiltà.
Badate bene che tutto è comunque legato! I vari problemi di questo pianeta sono come i chicchi di uva: sembrano essere unici e divisi ma, in realtà, è la loro unione sullo stesso asse , benché separati, che forma il grappolo.
Ma torniamo a noi, alla nostra “guerra non dichiarata”.
E’ qualcosa che mi sta sul groppo, stanco e nauseato di questa mattanza generale che sta diventando il nostro pianeta.
Senza tregua, senza rimarginare la precedente ferita, il vicino dolore che ecco riaprire la cicatrice, rinnovare il lutto, piangere invisibili lacrime perché oramai sono state tutte versate.
Si fa fatica a capire chi sono gli attori principali in questo incredibile copione che ha poco di cinematografico ma molto di realtà. Tutta umana.
Chi è vittima oggi è anche carnefice ieri, il carnefice ha un passato e un presente da vittima.
L’unica cosa che è preclusa ad entrambi è il futuro.
Guardateli, vittime e carnefici. Quelli di questi ultimi mesi di sangue, da Charlie Hebdo a Nizza, in un unico filo conduttore. Per finire chissà dove.
Osservateli e vedrete che sono due facce della stessa medaglia. Una medaglia al disonore del genere umano.
E non crediate che ci siano solo innocenti e soli colpevoli. Noi tutti siamo colpevolmente innocenti.
Guardateli, quelli che troppo facilmente vengono etichettati come terroristi.
Osservateli come non siano solo profughi freschi di guerre accese da noi in gran parte del nostro pianeta.
Guardateli come non sono semplicemente dei fanatici religiosi.
I nostri mostri sono figli di seconda generazione di immigrati, arrivati in questo continente per scampare la fame, la guerra, la morte, in cerca di un futuro migliore per loro e per i loro figli e nipoti.
Già, figli e nipoti, quelli che ora diventano assassini e boia.
Perché è inutile nasconderlo, cosa abbiamo offerto loro?
Li abbiamo ghettizzati, reclusi in periferie che sono diventate tante piccole, o grandi, Scampie.
Li abbiamo imprigionati, senza sbarre, in palazzoni sorti dal nulla, in mezzo al nulla, con intorno il nulla.
Gli abbiamo offerto la nostra stessa disoccupazione, l’infelicità di non avere un futuro, di programmarlo.
E in più, in barba alla cotanta manifesta volontà di integrazione, continuiamo ad additarli come “diversi” benché i loro passaporti, le loro carte d’identità, parlino di cittadini come per noi.
E noi continuiamo a chiamarli, ad offrire le nostre coste come rifugio sicuro per le loro fughe da paesi martoriati.
E continuiamo ad illuderli affermando che possiamo provvedere a loro, aiutarli, dargli un futuro.
Un futuro che si dipana fra centri accoglienza fatiscenti in Italia , o a tendopoli a Calais, oppure il porticato di una stazione italiana o la scogliera francese.
Gli erigiamo di fronte muri di mattoni o di filo spinato.
Li abbandoniamo al loro triste futuro che sia la schiavitù del caporalato, o una sordida prostituzione, oppure un futuro da imprenditore “vu cumprà” per conto terzi.
Non è un problema di costruzione o meno di moschee, ma di alloggi popolari per tutti, immigrati e non.
E’ un problema che, mentre il vegan e il carnivoro discutono fra di loro cosa sia giusto mangiare, migliaia di bambini, ogni giorno, ridotti alla fame, sono scheletri spolpati vivi da mosche.
Qualcuno di loro, diq uelli che cercano fortuna da noi, ce la fa, ma, inesorabilmente, rischia di vedere a sua volta i suoi figli, i suoi nipoti, tramutarsi in assassini e boia in un mondo che non ha giustizia sociale.
Perché di questo parliamo, di mancanza di giustizia sociale.
Il terrorismo, l’ISIS, non sono la causa ma l’effetto di ciò che accade allorché la giustizia sociale diventa una chimera.
Mettetevi nei panni di un povero cristo, figlio di immigrati, che non ha potuto continuare gli studi, che cerca lavoro ma gli vengono offerti, in virtù di leggi economiche non scritte, stipendi da fame.
Guardatelo mentre raccoglie pomodori sotto il sole cocente, oppure mentre serve a tavola fra labbra siliconate e tette rifatte, oppure mentre una figlia o una sorella o un amica aspettano il cliente di turno alla luce di un fuoco fatuo su una strada.
E nel contempo nel suo paese, o in quello di altri come lui, vecchi, donne e bambini muoiono di fame, di bombardamento, di ignavia.
L’ignavia di avere realizzato in un mare un orribile cimitero al grido “Venite da noi!”
Già, l’ignavia. Quella, per esempio, ci fa parlare di “esportare democrazia”, quando quella stessa parola, democrazia, l’abbiamo stuprata a più non posso proprio nei nostri paesi.
Quell’ignavia che ci fa parlare di scontro di civiltà, di religioni, quanto invece i morti non hanno distinzione di razza, religione, sesso e credo politico.
Noi li abbiamo attratti a noi come la luce per i moscerini, illusoria e ingannatrice.
Perché prima o poi arriva l’alba e con essa la morte dell’insetto.
E, in questi casi, perché non pensare di ripagare con la stessa moneta chi li ha ingannati?
Aggiungici un poco sano fondamentalismo religioso e un ignoranza di base e vedrai che il piatto dell’odio è bello che servito!
E così accadono Charlie Hebdo, Monaco, Nizza, il Bataclan, e chissà quanti altri casi.
E’ uno scontro di pancia. Fra chi l’ha vuota e chi l’ha troppo vuota da sempre.
Non è un problema di menti bacate ma di disperazione condivisa.
Noi abbiamo curato la loro disperazione come gli americani curavano i pellerossa dal freddo. Li imbottivano di coperte. Infettate da malati di vaiolo.
Noi gli abbiamo offerto la nostra coperta di vaiolo, ovvero la nostra civiltà ridotta ad un mero conto bancario, dove la finanza la fa padrone sul lavoro, dove l’intolleranza cresce a dispetto dell’amore, dove l’interesse seppellisce la famiglia.
Dove le nazioni non hanno piu’ stemmi a rappresentarle, ma conio di una moneta bugiarda e ingannatrice.
E dove un bambino africano muore in una miniera di coltan per farci inseguire un Pokemon.
E così, mentre noi occidentali inseguiamo il Pokemon, loro, quelli che ieri erano immigrati e oggi sono disoccupati, schiavizzati, sottomessi al pari di noi, inseguono noi.
Non è un problema di terrorismo, di fanatismo, di scontro di civiltà.
Ma di giustizia sociale.