Balvano, 3 marzo 1944: a meno di due chilometri dalla stazione del piccolo comune della Basilicata, in una zona nota ai pastori come Contrada Grotta un piccolo centro lucano, in una fredda notte invernale, si consuma la piu’più grande tragedia ferroviaria europea, più di 600 morti e nessun colpevole.
Il treno 8017 avrebbe dovuto percorrere altri sei chilometri per raggiungere la fermata successiva, “Bella-Muro” (dai nomi dei due comuni serviti dalla stessa stazione, Bella e Muro Lucano), ma resta intrappolato in una delle trentasette gallerie della linea Battipaglia-Potenza, la numero 20, la più lunga del percorso, poco meno di due chilometri, dal nome tristemente glorioso, “Galleria delle Armi”.
Per l’effetto combinato di monossido di carbonio, biossido di carbonio e carenza d’ossigeno, muoiono nel sonno o nella veglia, oltre 600 persone.
La tragedia ferroviaria di Balvano avviene in un momento difficile della Seconda Guerra Mondiale: l’Italia è divisa in due, a sud gli Alleati e a nord i tedeschi e la Repubblica di Salò, la popolazione è dunque devastata e allo sbando, poverissima. Molti abitanti della zona costiera campana, per procurarsi da mangiare non esitano ad assaltare i pochi treni merci che potrebbero condurli nelle campagne lucane, laddove vi è ancora qualcosa con cui sfamarsi e operano il baratto, unico mezzo di sopravvivenza che evita alle loro famiglie di morire di fame.
Molti dei parenti delle vittime intentarono causa alle Ferrovie dello Stato. Le ferrovie declinarono ogni responsabilità, sostenendo che su quel treno non avrebbero potuto trovarsi passeggeri di alcun tipo e che, a causa della complicata situazione dell’equilibrio dei poteri tra le amministrazioni italiane e il comando statunitense, non era immediato nemmeno risalire a chi avesse la responsabilità della gestione di quella particolare tratta.
Tuttavia, non bisogna dimenticare che in quel periodo tra Napoli e Potenza esisteva solo una relazione per viaggiatori, il treno 8021, che partiva dal capolugo campano due volte alla settimana, il mercoledì e il sabato.
Per spegnere sul nascere una vertenza che avrebbe potuto trascinarsi per anni, il Ministero del Tesoro sancì l’emissione di un risarcimento come se si trattasse di vittime di guerra, risarcimento che venne erogato dopo oltre 15 anni.