Mi chiamo Ahmed Fellaini. Sono un chirurgo afgano.
Sono quello che si definisce,nel gergo dei medici impegnati in teatri di guerra, un “rattoppatore”.
D’altronde cosa altro potrebbe essere un chirurgo in un paese in guerra? O forse sarebbe meglio definire l’Afghanistan come una guerra fatta paese.
In Afghanistan si nasce con una guerra, si cresce dentro di essa, si muore aspettando la prossima.
Ė da secoli così, quasi se come questo martoriato paese, dai paesaggi maestosi e selvaggi, formati da montagne blu contrapposte a brulle vallate, debba pagare un dazio eterno all’ Alessandro Magno di turno, che sia macedone, russo, americano o talebano.
Sono un rattoppatore, e infatti mi sto lavando le mani, sporche di sangue, dopo l’ultimo ” rappezzo” effettuato.
Non mi fa più impressione vedere arti smembrati, coaguli di sangue, organi a pezzi. Quello che mi fa veramente paura è che sto diventando asettico, apatico, indifferente agli orrori che mi si presentano innanzi quotidianamente.
Taglio, cucio, amputo, con la stessa indifferenza con cui si timbrerebbero dei francobolli.
Forse è una forma di autodifesa, qualcosa che il mio cervello,in simbiosi con tutto il resto del mio corpo, produce per permettermi di andare avanti ogni giorno senza impazzire.
Una sorta di ironica beffa: un chirurgo che amputa le sue emozioni.
Ecco, ciò che mi fa veramente impressione è il non sapere se sarò più capace di provare una qualsiasi emozione che non sia questa paura di aver perso, per sempre, una parte essenziale per ogni essere umano.
Quello che, alla fine, ci distingue da una fredda macchina.
Forse è anche normale che sia così, dopotutto lavoro in un teatro di guerra e mica posso aspettarmi una tranquilla giornata con una semplice Appendicectomia!
Oddio,a dire il vero capita anche questo tipo di problematica, ma per il resto i miei pazienti sono le classiche tipologie che ti aspetti che un conflitto provochi.
Semmai quello che veramente potrebbe stupire un osservatore esterno è il genere di pazienti che frequentano le corsie, le sale operatorie, gli obitori di un ospedale.
Insomma, in una guerra ti aspetteresti di trovarti davanti reduci dal fronte da entrambi i lati. Insomma soldati.
E invece no! Qui mi capitano ogni giorno donne, anziani, e sopratutto bambini.
Dannazione, bambini, di ogni età e ogni sesso.
Bambini come Jamal, che ho appena operato.
Forse ha 8 anni e in un età dove dovrebbe conoscere un maestro e frequentare le aule di una scuola, ha conosciuto me e le fredde mura di una sala operatoria.
Un piede saltato via fino allo stinco, l’altra gamba maciullata da schegge metalliche e frammenti di ossa, un paio di dita della mano destra ridotte in poltiglia e ferite lungo tutto il piccolo corpicino. Una vittima di guerra e della dannata idiozia umana.
E di un colore.
Jamal, tradito da un colore, il giallo che qui, in Afghanistan, può significare vita o morte, gioia o orrore.
Un colore, il giallo, che in un paese come questo, nelle aspre brulle vallate formate da pietraie e sporadici ciuffi di vegetazione, si nota come non mai attirandoti come una calamita a sé.
Invitante, ammaliante, come una festa a sorpresa.
Ingannatore come un amante che ti tradisce.
Il giallo, che ti può salvare dai morsi della fame oppure morderti mani, piedi, gambe, tronco e braccia.
Jamal e il giallo, già.
Una vittima di guerra, nell’età in cui la guerra dovrebbe essere un innocuo gioco. Allora meglio, anzi peggio pensare che sia una vittima della maledetta idiozia umana.
Quella idiozia tutta ipocritamente umana che ti fa scegliere di usare un colore, il giallo per contrassegnare due cose agli antipodi.
Sono colorati di giallo infatti i sacchetti di aiuti “umanitari”,con cibo e medicine, che lanciano dagli aerei.
Sono colorate di giallo le “cluster bomb” usate nella guerra “umanitaria”, le bombe a grappolo che lanciano gli aerei o sono sparate da un cannone.
Una cluster bomb consiste, in realtà, di due parti: un container e un certo numero di sub-munizioni, chiamate comunemente bombette. Il suo compito è quello di trasportare le sub-munizioni sull’area di attacco dove un meccanismo di espulsione si occuperà di disperderle su una superficie più o meno vasta.
In pratica ,per gli effetti, sono molto simili alle mine antiuomo.
In un paese dove il tasso di analfabetizzazione tra minori è alto, dove la televisione non è per tutti e e non arriva a tutti per informare, quel colore giallo, di un pacco aiuti o una bomba a grappolo, diventa un formidabile invito per ogni bambino che giochi, pascoli le capre, oppure si trova semplicemente a passare lì.
Lo vedi, gli vai vicino e immediatamente sei coinvolto in un orrido Hallowen dove il colore giallo, subdolamente, è lui a chiederti “dolcetto o scherzetto?”
Se è uno scherzetto non è di quelli che ci riderai su. Ne tocchi una, di cluster bomb, e resti mutilato a vita. Se sopravvivi.
Magari non esplode subito, la prendi e la porti a vedere a degli amichetti,ai tuoi familiari e coinvolgi anche loro in un macabro gioco di sterminio.
Jamal probabilmente ci ha solo messo un piede sopra.
Mi viene da ridere quando penso al paradosso.
Quelle bombe sono progettate, costruite e approvate da ingegneri, chimici,operai comuni, generali in uniformi gallonate e politici senza anima e scrupoli.
Esseri umani comunque. Che hanno figli e nipoti come ogni famiglia afgana o di qualsiasi altra parte del mondo.
Persone che si preoccupano che i loro bambini non accettino caramelle da sconosciuti, che frequentino buone compagnie, che possano fare sport all’aria aperta e che sia sempre pronta una cassettina con il disinfettante e il cerotto a portata di mano.
Persone che come lavoro hanno come obiettivo che quelle bombe funzionino.
Nessuno pensa ai bambini degli altri, all’esercito di piccoli mutilati che si accresce sempre più, costringendo famiglie povere ad accudire quei sfortunati, resi invalidi per il resto degli anni, aumentando la morsa di una miseria che non aveva bisogno di inviti per entrare in alcuna di quelle case.
I bambini come Jamal non sanno quanto possa essere terribile il colore giallo. Per loro è il colore del sole, del pacco aiuti. Difficilmente sentiranno una vittima parlare di quell’altro colore giallo, quello cattivo.
Arrivano sempre più spesso in ospedale. Sempre più spesso curo corpi ustionati, amputo arti e suturo squarci profondi o applico protesi.
Sbrigo tutto con una sorta di gelida indifferenza professionale. Questo non mi fa più impressione. Sono oramai dolorosamente assuefatto. Ma questo l’ho già detto.
Ma c’è una cosa che mi fa male.
E che mi rende ancora umano.
Vedere il viso di bambini come Jamal che si risvegliano dopo un intervento chirurgico e si ritrovano in un mondo dove non potranno saltare più, afferrare, oppure vedere colori.
Agitano quegli arti oramai assenti, li cercano, senza capire inizialmente, con stupore prima, dolore mentre, rassegnazione dopo. Finchè non smettono di cercarli capendo di non averli più.
Mi ricordano un gattino , che avevo da piccolo, al quale amputammo la coda (già, le amputazioni, forse erano nel mio destino): ridevamo delle sue confusionarie piroette nel cercare quella coda per pulirla.
Qui c’è poco da ridere, non c’è bisogno di leggerlo anche negli occhi di quei bambini,di Jamal domani quando si sveglierà.
E allora esco fuori, di giorno o di notte,con i crampi allo stomaco come se avessi subito un poderoso pugno, e rimango lì con gli occhi chiusi, affinché non mi permettano, in alcun modo, di vedere quel dannato colore e quei volti.
Ho avuto la fortuna di aver già letto questo tuo racconto. Lascia senza parole. Lascia l’amaro in bocca. Ci muove a compassione e allo stesso tempo ci fa sentire colpevoli. Si colpevoli per non pensare, per veder scorrere gli eventi e non immaginare quello che c’è dietro a quegli eventi. La Guerra, le rovine, la fame, il dolore, gli uomini, le donne e i bambini. Non riflettiamo mai che gli obiettivi più facili da colpire sono proprio loro, i bambini.
Spero che il mio sentire, la mia emozione la sentano e l’avvertano anche coloro che di queste guerre sono i protagonisti i padroni, i predoni….Che il mio Dio abbia pietà della loro sofferenza, del loro sacrificio gratuito e se vivi, possa ricompensarli di tanto dolore e che condanni chi ha osato tanto!