CLUJ-NAPOCA 01/10/2008 - CHAMPIONS LEAGUE INCONTRO CLUJ-NAPOCA - CHELSEA - NELLA FOTO CHAMPIONS LEAGUE LOGO - FOTO VICTOR FRAILE/BACKPAGE/INFOPHOTO

Da Berlino a Berlino

Premessa: sono tifoso della Roma. Un handicap, forse. Ma anche un merito, perché di fatto non abituato a vincere e quindi fiduciario di una scelta difficile. Quindi potrebbero sembrare incomprensibili queste righe, gettate lì, a favore di una delle squadre più “odiate” dai colori giallorossi. Forse nemmeno la rivalità con i “cugini” della Lazio è così sentita da chi tifa Roma così come quella con la Juventus. Così come sono caldi e vividi, per l’appunto, il giallo e il rosso, così sono freddi e uggiosi il bianco e il nero. Due mondi, due concezioni di vita,di tifo, di appartenenza completamente agli antipodi. L’eterna vincente e l’eterna perdente. Sono due opposti che si attraggono, in qualche modo, diventando complementari a se stessi. Una sorta di yin e yang calcistico. Ma oggi, da tifoso non della Roma, ma dello sport, devo fare i miei più vividi complimenti a questa “nuova” Vecchia Signora. E’ in finale di Champions; il Davide bianconero, il piccolo Calimero non solo nero, ha sconfitto il Golia spagnolo, la riedizione calcistica dell’Invincibile Armada. Ha estromesso dalla finale di Berlino i campioni in carica, una squadra fatta di così tante stelle che, tramutate in soldoni, risolleverebbero in parte il PIL di qualche stato. La Juventus ora va a Berlino, a giocarsi la finale con un’altra squadra di extraterrestri calcistici. E’ strano il destino. Questa Juventus arriva a Berlino partendo da Berlino, da quella vittoria mondiale della nazionale azzurra, preceduta però da una delle pagine più tristi della nostra storia calcistica: Calciopoli. Quella nazionale schiererà, durante il mondiale, calciatori come Buffon, Zambrotta, Cannavaro, Del Piero,Camoranesi, tutti calciatori di una Juventus che, in un mese, passa dall’essere Campione d’Italia a nobile retrocessa in serie B con una delle accuse più infamanti: illecito sportivo.
Quella Juventus paga, duramente. Alcuni campioni vanno via, altri restano. Scende nel fango della serie B, attesa al guado da chiunque voglia godere di una domenica di notorietà. Risale in serie A , come l’ultima delle provinciali, incomincia a singhiozzare in una categoria differente da quella che aveva lasciata, con equilibri sportivi nuovi. Probabilmente il profumo della serie A fa credere a qualcuno che, noblesse oblige, sia tutto dovuto. Ma non è così e si sbanda, paurosamente. La Juventus deve tornare nel fango, re imparare a rotolarsi in esso e per questo viene chiamato un onesto ex calciatore con l’anima del guerriero, un condottiero con la grinta nel cuore e il sudore del lavoro come rinfresco. Un Cincinnato moderno che risponde al nome di Antonio Conte. La Juventus torna, sgomitando, correndo e lottando, a vincere e convincere. Uno, due, tre volte fino a che Cincinnato Conte passa la mano al più nobile Agrippa Allegri, volendo continuare a fare paralleli fra gli antichi condottieri di Roma (che la mia Roma non ha) e i tecnici della Juventus. E si continua a vincere: sono quattro ora, i campionati, e c’è una finale di Coppa Italia. E una Berlino sullo sfondo, partendo da un’ altra Berlino. Ed è quasi incredibile come questa Juventus, per tornare se stessa, abbia dovuto sporcarsi nel fango della lotta e del sudore, diventare “operaia”.  Sì, proprio lei che “operaia” non era mai stata pur rappresentando la Fiat, gli Agnelli. Ma, a Torino, la squadra degli operai era il Torino, non la Juve. Ma questa Juventus, l’odiata zebra bianconera, ha sovvertito gli schemi. Si è rimpossessata del suo ruolo rinnegando le sue origini. Ha lasciato il fioretto e preso la clava. Facendo piazza pulita di quella bastarda estate del 2006 dove lacrime di gioia per un mondiale vinto si mischiavano a quelle di una vergogna latente e di una rabbia frustrante.

Juventus' Spanish forward Alvaro Morata celebrates scoring with teammates during the Round of 16, second-leg UEFA Champions League football match Borussia Dortmund vs Juventus in Dortmund, western Germany on March 18, 2015.   AFP PHOTO / PATRIK STOLLARZ        (Photo credit should read PATRIK STOLLARZ/AFP/Getty Images)

Ora non so come andrà a finire contro il Barcellona, forse la squadra più forte al mondo. Personalmente ho scommesso sulla vittoria bianconera (da tempo, come può confermare qualcuno), forse perché tra pellerossa e soldati ho sempre tifato per i primi. Forse perché ci vedo un filo logico, da Berlino a Berlino, che non può essere spezzato. Credo, però, che questo, vincere o perdere, sia secondario. Non cambierà il corso di questa storia, nel quale vanno riconosciuti i grandissimi meriti a questa società che, nel bene e (a volte) nel male ha fatto la storia del nostro calcio. Si dice che per diventare santi ci sia bisogno di tre miracoli. Ebbene, la Juventus ne ha fatti due: è diventata operaia, ha sconfitto Golia. Il terzo, e ultimo, miracolo spetta soprattutto ai suoi dirigenti insieme a tutto il loro popolo di tifosi. Credo che sia giusto che ora si finisca di parlare di 31, 32 o 33 titoli vinti. Fatto questo terzo miracolo si guadagnerà la propria santità , affermando di essere quello che è sempre stata:una grande società. Non sono più i numeri a contare ma questo presente che li proietta nel futuro,lontanissimi da quella calda e torrida estate del 2006. Che li porta a Berlino, a giocarsi la partita della vita contro la squadra più forte del mondo. Dove non conteranno i numeri, ne quelli degli scudetti più o meno vinti né quello del valore monetario delle rose, ma il sudore, il coraggio e la volontà che si metteranno in campo. Poi sarà quel che sarà, il campo non sempre è il giudice più giusto. Ma la Juventus la sua partita l’ha già vinta. E’ iniziata quel 9 luglio 2006 a Berlino e non terminerà di sicuro il 6 giugno 2015, sempre a Berlino. Mai come questa volta, da un tifoso romanista, “in bocca al lupo, zebre”
di Antonio Mattera

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