ORSO D’ARGENTO, IPOCRITA D’ORO.
Con «La paranza dei bambini» Roberto Saviano ha vinto l’Orso d’Argento per la migliore sceneggiatura alla 69esima edizione della Berlinale.
Non sto qui a discutere il merito o meno del premio, comunque ritengo che sia qualcosa che dà lustro all’Italia, oltre che alle tasche del copista più′ famoso d’Italia dopo la Madia.
Discuto il dopo, cioè la decisione di Saviano di dedicare il premio «alle Ong che salvano vite in mare».
Per carità, libero di fare quello che vuole e come e quando lo vuole con i suoi premi.
Solo che mi aspettavo una dedica meno «buonista e paraculista» da una siffatta mente.
Si vede che mi sbagliavo e che il populismo al contrario funziona esattamente come quello di propaganda.
Riempite tasca e pancia, svuota la mente.
E lui, narrando (o scopiazzando, fate voi) Napoli e i suoi problemi, le tasche le ha riempite, eccome.
E allora io avrei dedicato, fossi stato in lui, il premio a quelle vittime, dirette o trasversali, delle quali narra.
Lo avrei dedicato a Gennaro Cesarano (6 settembre 2015), ragazzo di 17 anni, morto in Piazza San Vittorio nel quartiere napoletano della Sanità (dove abitava), ucciso da un proiettile vagante sparato proprio da una di quelle paranza (ovvero un gruppo di fuoco composto da camorristi di giovanissima età) delle quali Saviano narra, durante una stesa, ovvero un raid armato con cui le paranze cercano d’imporre il proprio dominio sul territorio.
Lo avrei dedicato a Fabio De Prandi (11 anni nel 1991), ucciso da un proiettile vagante.
Quell’innocenza di entrambi punita per la casualità di essere nati nel posto sbagliato lo avrebbe meritato.
Avrei dedicato il premio a Annalisa Durante, uccisa da un proiettile vagante a soli 14 anni, la sera del 27 marzo del 2004, a Forcella durante un agguato a un boss della camorra.
Quell’occhio attraversato dal proiettile e quel cervello spappolato lo avrebbero meritato.
Lo avrei dedicato a Valentina Terracciano, 2 anni, uccisa anch’essa da un proiettile vagante esploso da un gruppo di fuoco in un ristorante.
Quella vita ancora tutta da scoprire, assaporare, «vivere», lo avrebbe meritato.
Lo avrei dedicato a Gelsomina Verde di Scampia, Aveva 22 anni quando fu uccisa. Era il 21 novembre 2004.
Anno disgraziato, come tanti in quelle terre.
Lo avrebbero meritato quei segni sul suo corpo tumefatto dai pugni e dai calci, segni di una violenza inaudita, prima del colpo alla nuca.
Lo avrei dedicato a Genovese Pugliese, ucciso nel 1995 per aver difeso la sua fidanzata (violentata e stuprata per giorni) dalle voglie amorose del boss (donna) del quartiere.
Quel volto spiaccicato e reso irriconoscibile dai pallettoni del fucile a pompa lo avrebbe meritato.
Lo avrei dedicato a A.L., il ragazzino 16enne che, entrato nel mondo della criminalità, aveva ucciso e fatto a pezzi due boss della camorra.
Quella vita segnata, per scelta o per ingranaggi difficili da smontare e dai quali allontanarsi, lo avrebbe meritato.
Lo avrei dedicato a Ciro Colonna (16 anni), Vincenzo Amendola (18 anni), Gennaro Cesarano (17 anni, meccanico ucciso perchè rifiutatosi di modificare delle moto di camorristi).
Lo avrei dedicato a quei 25 bambini uccisi dal 1991 a oggi (età compresa tra 0 e 12 anni), a quei 85 ragazzi con meno di vent’anni uccisi negli ultimi dieci anni.
Io lo avrei dedicato a loro e tanti altri.
Quelle eterne cicatrici segnate da dolori lancinanti nell’animo di padri, madri, nonni, fratelli e sorelle, amici lo avrebbero meritato
Ma io non sono (fortunatamente) Saviano e non riuscirei a sputare nel piatto dove mangio a casa mia per poi lavarmi il muso nelle acque di un punto del Mediterraneo qualsiasi.
Avanti, adagio, fanculo.