IL GRECO.
Un greco, un discendente degli antichi Spartani.
Solo lui poteva metterci la faccia e andare a chiedere silenziosamente scusa a quei 600 tifosi giallorossi, piccoli eroi che avevano sfidato il gelo di Pilzen , il costo e i disagi di un viaggio per assistere all’ennesima figura barbina di campioni pluripagati.
Quei 600 stavano contestando, inni di rabbia per un amore troppe volte tradito quest’anno, oppure come da 10 anni a questa parte.
Kostas Manolas è il greco, l’uomo solo di fronte ai suoi tifosi.
Non è un caso: giocò, con l’Olympiakos, e segnò procurandosi però una bruttissima ferita al volto.
Sostituito, si rifiutò di andare all’ospedale per seguire e incoraggiare i compagni dalla panchina.
Il giorno dopo, però, fu operato perché lo scontro non gli aveva procurato una semplice ferita ma una serie di fratture che i medici curano impiantandogli delle placche metalliche.
Oppure il Kostas Manolas che segna il goal decisivo contro il Barca e urla la sua gioia come un ossesso, con quegli occhi spiritati che da soli bastano a tagliare le gambe all’avversario.
Che ti dicono, inequivocabilmente, che tu puoi essere anche la miglior squadra della galassia, con un extraterrestre come Messi, ma che stasera «nun c’è trippa pe’ gatti»
Certe cose le devi avere nel DNA.
Come non le hanno alcuni assenti in quella foto.
L’asino di Lavinia, per esempio, mister contratto 3 milioni per non riuscire a crossare decentemente un pallone che sia uno, sempre pronto a promettere che la prossima partita sarà giocata come una finale.
Oppure quel ragazzino di 18 anni la cui partita è durata 10 minuti, che sta seguendo le orme non di Francesco Rocca nel ruolo ma quelle di Gigio Donnarumma nei comportamenti.
D’altronde anche lui è allievo del maestro Raiola.
In quella foto non ci sono i campioni del mondo come Nzonzi, che forse sarebbe arrivato sotto quella curva per quanto lo stadio sarebbe stato svuotato.
Né Pastore troppo preso a trovare il suo posto nel presepe natalizio.
Non c’era Monchi, forse troppo occupato a inventarsi una altra delle sue perle di saggezza per meravigliare noi tifosi.
Non c’era Di Francesco, troppo impegnato all’anagrafe a cambiare il cognome in Di Sfacelo, anche se le colpe non sono mai le sue.
Non c’era Jim Pallotta, il quale se ne ride delle contestazioni dalla lontana Boston.
Ecco, il presidente fa male a non rispettare quei 600 tifosi, che potrebbero anche decidere di non essere suoi clienti quando costruirà il suo mega galattico stadio.
La sua personale cartina di tornasole per giustificare anni di plusvalenze annunciate sostituite con acquisti da incubo, e figure barbine come Pilzen in quantità industriali.
Perchè questa Roma, in nome di numeri contabili e operazioni di finanza, è stata svuotata del cuore, della passione, del pathos.
Meno male che il greco le possiede ancora, queste cose.
Ecco perchè solo lui poteva essere là sotto, novello Leonida, a chiedere scusa a quei 600 eroi traditi da tutti quei discendenti di Efialte che bazzicano tra Trigoria e Boston.
Avanti, adagio, fanculo.