Questa è la storia, dimenticata, di 2000 carabinieri di Roma che si opposero al nazismo e al fascismo.
La cattura e la deportazione
Siamo nel lontano 7 ottobre 1943.
Le strade di Roma sono attraversate da alcuni camion della Werhmacht, diretti alle stazioni Ostiense e Trastevere.
A bordo ci sono oltre 2.000 carabinieri che vengono poi fatti salire sui vagoni merci.
Destinazione: i lager tedeschi.
Ad ordinarne la deportazione fu il comandante dell’SD e della Gestapo a Roma, Kappler.
Il motivo? Kappler sospettava che i carabinieri aiutassero la Resistenza, avvertendoli delle retate, e fossero artefici della fuga di alcuni prigionieri politici.
“Eravamo l’unica protezione per le popolazioni avvilite e stanche e decisero di disfarsi di noi” così ricorda quel giorno il maggiore Alfredo Vestuti, anche lui deportato.
I carabinieri vennero catturati nelle varie caserme, disarmati, sotto la minaccia che se avessero cercato di fuggire o di avvertire le proprie famiglie, i nazisti si sarebbero vendicati nei confronti di quest’ultime.
Obbedivano anche agli ordini precisi del Ministro della Difesa, Maresciallo d’Italia Graziani, passati con circolare.
“Cominciammo a girovagare per la città e il nostro cuore […] cominciò a battere ancora più forte quando assistemmo, inermi, all’assalto ad un’altra caserma. Ecco questa è la storia”, racconta Peppino Uscidda, carabiniere che all’epoca dei fatti aveva solo 21 anni e per una serie di coincidenze riuscì a scappare dal rastrellamento.
Pur tra il collaborazionismo di alcuni ufficiali, all’atto di passare al servizio della repubblica di Salò, il resto dei carabinieri si dimostrò stoico persino nei lager.
La prigionia e le sofferenze
Pur tra le sofferenze e le umiliazioni, la gran parte dei carabinieri internati rifiutò di obbedire quella sirena ammaliatrice.
Quando gli alleati avanzarono, i nazisti obbligarono anche i carabinieri alle terribili marce della morte, dove vi persero la vita in molti.
Un sopravvissuto ricorda che la fame che era stata compagna nel lager, durante le marce raggiungeva dimensioni strazianti e un giorno, vedendo una gallina che stava beccando un pezzettino di crosta di pane, gliela contese e se ne appropriò con grande soddisfazione, quasi fosse stato un lauto pranzo.
Il ritorno a casa e il silenzio
Anche il ritorno, a guerra finita, rappresentò una odissea perché nessuno voleva ascoltare i reduci raccontare dei lager.
E poi il mancato o faticoso riconoscimento del loro contributo al «no» al fascismo, poiché per molti italiani i carabinieri erano stati comunque uno strumento dello stato fascista.
Ci sono voluti 60 lunghissimi anni per far conoscere questa storia , racchiusa, gelosamente e umilmente, negli archivi dell’Arma.
Ricordatelo, quando vi troverete d’accordo, e simpatizzanti, con una scritta, vergata da mano ignota, che declinerà semplicemente un acronimo: “ACAB”