All’alba del giorno scelto per l’attacco, il 14 maggio 1944, il generale Juin inoltrò agli uomini della IIa divisione di fanteria (gen. Dody) e della IVa divisione da montagna (gen. Guillaume) il seguente proclama: «Soldati! Questa volta non è solo la libertà delle vostre terre che vi offro se vincerete questa battaglia. Alle spalle del nemico vi sono donne, case, c’è un vino tra i migliori del mondo, c’è dell’oro. Tutto ciò sarà vostro se vincerete. Dovrete uccidere i tedeschi fino all’ultimo uomo e passare ad ogni costo. Quello che vi ho detto e promesso mantengo. Per cinquanta ore sarete i padroni assoluti di ciò che troverete al di là del nemico. Nessuno vi punirà per ciò che farete, nessuno vi chiederà conto di ciò che prenderete».
Alberto Moravia ci scrisse un libro e Vittorio De Sica ne ricavò un film, La Ciociara, con Sofia Loren, dove si mostra lo stupro delle due protagoniste, madre e figlia. Dopo più di cinquant’anni si torna a parlare di «marocchinate».
Allora questa parola la usavano tutti e si capiva subito di cosa si parlava.
Con questo brutto termine vengono indicate quelle donne, ma anche bambini di entrambi i sessi, uomini, religiosi e in qualche caso animali, vittime delle violenze dei soldati marocchini del Corps expeditionnaire francais (Cef), comandati dal generale Juin. Furono migliaia. Alberto Moravia ci scrisse un libro e Vittorio De Sica ne ricavò un film, La Ciociara, con Sofia Loren, dove si mostra lo stupro delle due protagoniste, madre e figlia. Dopo più di cinquant’anni si torna a parlare di «marocchinate».
Allora questa parola la usavano tutti e si capiva subito di cosa si parlava.
Con questo brutto termine vengono indicate quelle donne, ma anche bambini di entrambi i sessi, uomini, religiosi e in qualche caso animali, vittime delle violenze dei soldati marocchini del Corps expeditionnaire francais (Cef), comandati dal generale Juin. Furono migliaia.
tratto da http://www.fattisentire.org/modules.php?name=News&file=article&sid=1590
La furia bestiale che si abbatté sulle campagne e sui villaggi italiani, specie al Sud, dopo lo sbarco alleato ad Anzio e l’avanzata su Roma nella primavera del 1944, è ancora in parte sconosciuta, salvo che alle 60.000 donne, adolescenti e bambine che ne furono le vittime
Il generale Juin, al termine della battaglia di Cassino, diede ai suoi “goumiers” (da “goum”, reparto militare marocchino arruolato nel medesimo villaggio e clan) carta bianca per due giorni, come premio della vittoria che implicava il diritto di vita e di morte sulle popolazioni civili, il furto dei loro beni e la violenza sulle donne. Era stato questo l’incentivo che aveva convinto i marocchini a combattere per i francesi andando all’assalto delle posizioni nemiche alla testa dei reparti alleati. Così per due giorni e due notti razziarono, violentarono, uccisero. Stuprarono donne e bambine, dagli otto agli ottant’anni, obbligando padri e mariti ad assistervi
I risvolti della guerra, con le turpi appendici che si consumano nelle retrovie, son quelli di cui la storia perde volentieri nozione e li confina nel ripostiglio più nascosto e sudicio della memoria. La storia delle donne stuprate dai soldati marocchini agli ordini del generale francese Juin nell’ultima guerra è data quasi per scontata e come collegata alla fatalità della storia. Non se ne parla volentieri, resta un capitolo ermeticamente chiuso, se ne conoscono spiragli di dolore.
La furia bestiale che si abbatté sulle campagne e sui villaggi italiani, specie al Sud, dopo lo sbarco alleato a Anzio e l’avanzata su Roma nella primavera del 1944, è ancora in parte sconosciuta, salvo che alle 60.000 donne, adolescenti e bambine che ne furono le vittime designate e inconsapevoli. Fu una tragedia nella tragedia che all’inizio fu quasi difficile raccontare per imbarazzo e vergogna e poi, col passare del tempo, volutamente relegata dalla grande storia a episodio marginale, finchè la tendenza “terzomondista” nella storiografia “progressista” impose una cappa di silenzio, più vergognoso delle violenze compiute, per non favorire una forma di “pregiudizio razziale”. Se è così, come temiano, scopriamo che della storia si possono rivelare solo gli aspetti che fanno comodo e nascondere quelli che non concorrono alla “verità” che si vuol stabilire, e che non ha bisogno di essere dimostrata.
È un capitolo che gli storici italiani delle seconda guerra mondiale ignorano, quelli anglosassoni appena accennano e quelli francesi addirittura negano o riducono a episodi isolati e di poca importanza. Si riscontrano strane e colpevoli amnesie.
Nella sua storia delle donne nella seconda guerra mondiale, Mirian Mafai non ne parla. Non ne fa la minima menzione neppure per rispetto delle vittime. È un episodio che per lei non esiste. Come storia delle donne raccontata da una donna, per giunta “progressista”, non c’è male!
Solo nei costumi tribali di crudeltà degli eserciti afro-asiatici la sconfitta del nemico doveva accompagnarsi con l’umiliazione più abbietta e l’annientamento fisico dell’uomo e la violenza delle donne. Solo i giapponesi in Cina, con lo stupro di Nanchino, e le truppe marocchine e senegalesi in Italia praticarono lo stupro di massa, come rito di guerra e premio per gli atti di valore compiuti. Lo storico inglese Releigh Trevelyan, nel suo libro, ”Roma ’44”, scrive che «le truppe franco-algerine e i marocchini, nelle loro caratteristiche uniformi a strisce, erano veri guerrieri delle montagne; ed i loro metodi spregiudicati e crudeli di fare la guerra terrorizzavano sia i tedeschi sia la popolazione civile italiana». Ma sull’argomento non si diffonde molto di più. I marocchini tagliavano il naso e le orecchie ai tedeschi catturati e li mostravano come trofei di guerra, secondo i costumi di guerra delle tribù primitive nelle lotte di predominio tra i clan.
Vendevano i prigionieri tedeschi agli americani che poteva vantare così di aver compiuto azioni eroiche senza troppo rischio.
Il generale Juin, al termine della battaglia di Cassino, diede ai suoi “goumiers” (da “goum”, reparto militare marocchino arruolato nel medesimo villaggio e clan) carta bianca per due giorni, come premio della vittoria che implicava il diritto di vita e di morte sulle popolazioni civili, il furto dei loro beni e la violenza sulle donne. Era stato questo l’incentivo che aveva convinto i marocchini a combattere per i francesi andando all’assalto delle posizioni nemiche alla testa dei reparti alleati.
Così per due giorni e due notti razziarono, violentarono, uccisero. Stuprarono donne e bambine, dagli otto agli ottant’anni, obbligando padri e mariti ad assistervi. Chi tentò di reagire venne ucciso. Non si salvarono gli uomini, i ragazzi, i preti. Le violenze sessuali dei marocchini sulle donne bianche europee, oltre che come istinto bestiale di contadini analfabeti arruolati per la paga nei villaggi del Sahara e dell’Atlante, erano una specie di “promozione” che li elevava al rango di “dominatori”, di padroni assoluti della vita degli sconfitti, privati della loro dignità più intima, una testimonianza elementare di “possesso” che li ripagava dalla condizione di paria colonizzati dai bianchi. Quando mai avrebbero avuto un’altra occasione simile?
Nessuno prima d’allora aveva compiuto simili atrocità, neppure i barbari dell’antichità. Le poche donne che si salvarono lo dovettero unicamente all’intervento armato delle pattuglie americane. Furono loro a proteggerle e a trasferirle in luoghi sicuri al riparo dalle truppe di colore. I soldati americani bianchi non si fidavano nemmeno dei loro commilitoni di colore e negli accampamenti era norma che bianchi e neri venissero rigorosamente divisi e alloggiati a distanza gli uni dagli altri.
I francesi lasciavano fare dicendo che era impossibile governare i marocchini. Nemmeno sotto l’occupazione tedesca gli abitanti dell’Italia centro-meridionale avevano subito un simile oltraggio. I marocchini sparsero il terrore e si distinsero per brutalità. Si finì per chiamare “marocchini” tutti i soldati africani che stupravano le donne e quel marchio d’infamia restò loro appiccato per sempre. Nella fantasia popolare “marocchino” divenne sinonimo – e lo è rimasto ancora oggi – di ferocia bestiale e di violentatore recidivo e abituale. Le gesta degli immigrati marocchini nel nostro paese non hanno cancellato la cattiva fama di stupratori e di scansafatiche. Le regole cavalleresche in vigore negli eserciti europei non appartenevano al codice d’onore del combattente africano o arabo.
I tedeschi in ritirata avevano razziato le campagne e i villaggi della Ciociaria, ma non avevano mai violentato le donne. Nella sconfitta e nella disperazione non s’erano degradati a tal punto. Quando si diffuse la notizia che stavano arrivando i “liberatori”, il paese si preparò ad accoglierli festosamente. Nessuno si aspettava di veder arrivare questi uomini dalle pelle scura, il volto butterato dal vaiolo, gli occhi neri di brace, intabarrati nei “burnous” marroni, il turbante, i lunghi pugnali ricurvi alla cintura, sporchi, “gente selvatica, bestie”, concordano le testimonianze. Non si capiva perché queste truppe coloniali fossero state mandate in un paese civile a comportarsi come le tribù selvagge dell’Africa. Dopo la “liberazione” di Roma, le truppe coloniali francesi, marocchini, algerini e senegalesi, si sarebbero macchiate di atrocità e violenze sessuali anche in Toscana, nel Senese e all’isola d’Elba. «Erano come straccioni, come banditi, non sembravano soldati, ’sti barboni, olivastri, brutti proprio», dice un’altra testimone ciociara.
Curzio Malaparte nel suo libro «La pelle», sulla tragedia di Napoli in guerra, li aveva studiati nei loro sguardi di cupidigia e di desiderio per le donne bianche.«I servi marocchini che si affaccendavano intorno alla tavola non distoglievano da Jeanlouis gli occhi incantati, e io vedevo in quegli occhi luccicare una torbida voglia. Per quegli uomini venuti dal Sahara o dalle montagne dell’Atlante, Jeanlouis non era che un oggetto di piacere…». (Malaparte, La pelle, pag. 117).
I marocchini si portavano dietro un serraglio di prostitute marocchine per i loro quotidiani sfoghi, come branchi di capre. Dopo la caduta di Montecassino, su precisa autorizzazione del comando francese, ebbero a disposizione le donne d’ogni età dei villaggi italiani conquistati.
I marocchini ignoravano tutto della guerra, sapevano solo che si combatteva in Europa, tra europei, e che loro non c’entravano se non come carne da cannone, fin dai tempi di Napoleone III, nella campagna d’Italia del 1859. Così da bravi “servi” dei francesi andavano all’attacco salmodiando, (“Allah illah Allah! Mohammed Rassoud Allah”). Non solo uccidevano il nemico, lo mutilavano orrendamente perché la vittoria fosse completa. A proposito di stupri e di violenze sessuali il Corano, evidentemente, non diceva nulla che li impedisse come atti ignobili e bestiali ai musulmani, i quali continavano a seguire un regolamento di guerra che non cambiava dal Medioevo. Le voci di sgozzamenti notturni, di sevizie e di barbarie d’ogni genere resuscitavano gli incubi ancestrali delle incursioni saracene sulle coste italiane.
Una indagine ministeriale posteriore accertò che le donne violentate raggiungevano complessivamente la cifra di 60.000.
La magistratura militare francese avviò 160 procedimenti giudiziari che riguardavano 360 individui. Il tribunale francese emise alcune condanne a morte e ai lavori forzati.
Una quindicina di marocchini erano stati colti sul fatto e fucilati sul posto. In complesso lo stato francese fu reticente e non riconobbe la vastità dei casi denunciati dagli italiani. Le richieste di indennizzo furono accolte solo in numero esiguo. I francesi pagarono da un minimo di 30.000 lire a un massimo di 150.000 lire una tantum fino al l° agosto 1947, cifre che apparvero ideguate anche allora. Le domande di risarcimento fino al dicembre 1949 erano state non più 20.000, un terzo dei casi accertati, solo perché la maggioranza delle donne aveva preferito nascondere lo stupro e parecchie non erano sopravvissute alle violenza.
Nelle piazze dei paesi ciociari, ad Ausonia e Esperia, sorgono le lapidi che ricordano le vittime della violenza selvaggia dei “marocchi”, come li chiamano da queste parti. Ma nessuno ama parlarne. I testimoni, e insieme le vittime di quella tragedia, sono morti da tempo. Da quelle violenze non nacquero figli. I marocchini erano affetti da gravi malattie veneree che trasmisero alle donne e alle bambine violentate. Malattie che provocarono interruzioni e aborti spontanei nella maggioranza dei casi. Solo pochi bambini meticci sopravvissero e le madri li allevarono amorevolmente rinunciando a sposarsi. Ma parecchie donne, specie le più giovani, non ressero alla vergogna e abbandonarono il paese per trasferirsi in città dove sarebbe stato più facile dimenticare e farsi dimenticare.
In realtà non superarono mai l’onta dell’oltraggio subìto e rimasero segnate per sempre. Non avevano più osato guardare in faccia i familiari, e avevano preferito nascondersi come animali spauriti.
di Romano Bracalini
Il Federalismo Anno 9 – Numero 43 – Lunedì 31 Ottobre 2005